Sono state pubblicate le motivazioni della Consulta che spiegano i motivi per cui l’Italicum è stato giudicato illegittimo. La Legge Elettorale voluta dal Governo Renzi con impronta maggioritaria è stata bocciata in diversi punti chiave dai tredici giudici della Corte Costituzionale, così da farla trasformare in una legge proporzionale con premio di maggioranza. Nelle cento pagine del documento viene spiegato che, nonostante non ci sia alcun impedimento tecnico ad andare a votare con due leggi differenti alla Camera e al Senato, la Costituzione ”esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee”. Vediamo di seguito quali sono le motivazioni che hanno portato alla sentenza della Corte Costituzionale.
La Corte costituzionale ha reso note le motivazioni della sentenza con cui il 25 gennaio ha modificato la legge elettorale conosciuta come Italicum. Vediamole:
“La Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee”. “Fermo restando – si legge nelle 100 pagine della Consulta – quanto appena affermato, questa Corte non può esimersi dal sottolineare che l’esito del referendum ex art. 138 Cost. del 4 dicembre 2016 ha confermato un assetto costituzionale basato sulla parità di posizione e funzioni delle due Camere elettive“.
Il ballottaggio è distorsivo e rischia di “comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell’assemblea elettiva e l’eguaglianza del voto”. La Corte Costituzionale sottolinea che con l’Italicum “una lista può accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito al primo turno un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno. Le disposizioni censurate riproducono così, seppure al turno di ballottaggio, un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato nella sentenza n.1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente”.
Per la Corte costituzionale “ben può il legislatore innestare un premio di maggioranza in un sistema elettorale ispirato al criterio del riparto proporzionale di seggi, purché tale meccanismo premiale non sia foriero di un’eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa“. In questo caso, però, la Corte ravvisa una “lesione” della Costituzione per le “concrete modalità dell’attribuzione del premio attraverso il turno di ballottaggio” laddove “prefigura stringenti condizioni che rendono inevitabile la conquista della maggioranza assoluta dei voti validamente espressi da parte della lista vincente”. Dunque un premio di maggioranza assegnato alla lista che al primo turno ottiene il 40 per cento non è “irragionevole”, perché “consente di attribuire la maggioranza assoluta dei seggi in un’assemblea rappresentativa alla lista che abbia conseguito una determinata maggioranza relativa”.
Il sistema dei capilista bloccati previsto dall’Italicum non lede la libertà di voto, mentre, si legge nelle motivazioni della Consulta: “Lede la libertà del voto un sistema elettorale con liste bloccate e lunghe di candidati, nel quale è in radice esclusa, per la totalità degli eletti, qualunque indicazione di consenso degli elettori, appartiene al legislatore -spiegano i giudici della Consulta- discrezionalità nella scelta della più opportuna disciplina per la composizione delle liste e per l’indicazione delle modalità attraverso le quali prevedere che gli elettori esprimano il proprio sostegno ai candidati”. Alla luce di tali premesse”, le norme contenute nell’Italicum “non determinano una lesione della libertà del voto dell’elettore, presidiata dall’articolo 48, secondo comma, della Costituzione. Il sistema elettorale previsto” dalla legge all’esame della Corte “si discosta da quello previgente per tre aspetti essenziali: le liste sono presentate in cento collegi plurinominali di dimensioni ridotte, e sono dunque formate da un numero assai inferiore di candidati; l’unico candidato bloccato è il capolista, il cui nome compare sulla scheda elettorale (ciò che valorizza la sua preventiva conoscibilità da parte degli elettori); l’elettore può, infine, esprimere sino a due preferenze, per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capilista”. La scelta arbitraria consente al capolista bloccato eletto in più collegi di essere titolare non solo del potere di prescegliere il collegio d’elezione, ma altresì, indirettamente, anche di un improprio potere di designazione del rappresentante di un dato collegio elettorale, secondo una logica idonea, in ultima analisi, a condizionare l’effetto utile dei voti di preferenza espressi dagli elettori.
Il permanere del criterio del sorteggio restituisce pertanto, com’è indispensabile, una normativa elettorale di risulta anche per questa parte immediatamente applicabile all’esito della pronuncia, idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo. “Ma appartiene – si legge – con evidenza alla responsabilità del legislatore sostituire tale criterio con altra più adeguata regola, rispettosa della volontà degli elettori.
“Ad avviso del giudice a quo, le disposizioni, che prevedono (al Senato ndr) soglie di sbarramento per l’accesso al riparto dei seggi diverse da quelle prevista nel sistema elettorale per la Camera, favorirebbero la formazione di maggioranze differenti nei due rami del Parlamento, rischiando così di compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare“.
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