L’Iva, spauracchio di commercianti, artigiani, imprenditori, liberi professionisti e consumatori, insomma di tutti, rischia di aumentare ancora. E di tanto. Nel 2017 l’imposta sul valore aggiunto ordinaria potrebbe passare dal 22% al 24%, salendo di due punti, e quella agevolata dal 10% al 13%. Fino a salire al 25% nel 2018. A imporre l’aumento sono l’Unione Europea ma anche le clausole di salvaguardia che, introdotte per la prima volta dal Governo Berlusconi nel 2011, prevedono l’aumento automatico dell’Iva nel caso in cui lo Stato non riuscisse a reperire le risorse necessarie per coprire le proprie spese in altri modi.
Le clausole rappresentano anche lo strumento attraverso cui il governo può rispettare i vincoli di bilancio imposti da Bruxelles. Insomma, la mazzata per i cittadini (per i consumi e per l’economia) pare inevitabile. L’ex premier Matteo Renzi vorrebbe scongiurare l’aumento dell’Iva: «È un errore politico oggi aumentare l’Iva in un momento come quello che stiamo vivendo». La decisione, spinosa, spetta però al Governo di Paolo Gentiloni: rispettare i diktat europei o tradire gli elettori a pochi mesi (forse) dalle elezioni?
Come funziona l’Iva
L’imposta sul valore aggiunto fu introdotta in Italia nel 1972, per rimpiazzare l’imposta generale sulle entrate. Si tratta di un’imposta sui consumi, il cui calcolo si basa sull’incremento di valore che un bene o un servizio acquista a ogni passaggio economico (il valore aggiunto, appunto), partendo dalla produzione fino al consumo finale. L’Iva grava sul consumatore finale, mentre il soggetto passivo d’imposta (l’imprenditore o il professionista che cede beni o servizi) può detrarla. Facciamo un esempio: se un commerciante acquista materia prima dal valore di 1.000 euro, con l’Iva attuale al 22% (pari a 220 euro) pagherà 1.220 euro. Se, a seguito di una serie di lavorazioni, il valore del prodotto arriva a 1.200 euro, al momento della vendita il consumatore finale pagherà 1.200 più Iva, ovvero 264 euro, quindi 1.464.
Quante volte è aumentata l’Iva?
Se l’Iva aumentasse di nuovo, sarebbe la nona volta dalla sua nascita. Quando entrò in vigore, il primo gennaio del 1973, era al 12%. Fu portata al 14% nel 1977, al 15% (poi al 14% e di nuovo al 15%) nel 1980, al 18% nel 1982, al 19% nel 1988, al 20% nel 1997, al 21% nel 2011 e, infine, con la Legge di stabilità 2013, al 22%.
(fonte Wikipedia)
Come incide l’aumento dell’Iva nell’economia reale?
Provocando un aumento dei prezzi e, quindi, dell’inflazione, l’Iva è la tassa più odiata agli italiani. Nel 2013, dopo il passaggio all’Iva al 22%, le associazioni dei consumatori stimarono che l’aumento avrebbe inciso su ogni famiglia tra i 200 e i 400 euro annui. Nel 2011, inoltre, quando l’Iva aumentò dal 20 al 21%, il gettito per lo Stato diminuì di 3,5 miliardi di euro. Un controsenso: con l’aumento dell’imposta lo Stato incassò di meno. Colpa dell’evasione fiscale. «Se non scongiuriamo l’aumento dell’Iva corriamo il pericolo di penalizzare ulteriormente la domanda peggiorando la situazione economica delle famiglie e quella delle piccole imprese e dei lavoratori autonomi che vivono quasi esclusivamente di consumi interni», ammonì la Cgia (Associazione Artigiani Piccole Imprese) di Mestre prima dell’aumento al 22%. Figurarsi quanto verrebbero penalizzate queste categorie con un aumento al 24% o, addirittura, al 25%.
L’Italia il paese europeo in cui l’Iva è aumentata di più
L’Italia, tra l’altro, è il paese europeo in cui l’imposta è aumentata di più. In oltre 40 anni di vita, tra i principali paesi dell’area Euro, l’incremento principale si è registrato proprio da noi. Seguono la Germania, l’Olanda, l’Austria e il Belgio. L’unico paese in cui l’Iva è diminuita è la Francia.
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