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Jack Savoretti in tour con ”Written in scars” [INTERVISTA]

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Basta un suo sorriso, e si illumina l’intero locale. Quando poi inizia a cantare, è semplicemente magia. Eppure, per Jack Savoretti – appena trentunenne, ma già con una storia da romanzo alle spalle, molti viaggi, una famiglia e un vissuto intenso che gli si percepisce addosso – non è stata affatto facile. Tanto che il suo ultimo album si intitola proprio “Written in scars” (scritto in cicatrici), perché numerose sono quelle che ha dovuto sopportare prima di riuscire a sfondare, ad essere notato, all’estero e poi in Italia. C’era chi voleva cambiargli quel nome che non suonava abbastanza bene, chi la musica, chi il look. Lui, invece, voleva essere se stesso, perché “quando ti metti lì e scrivi una canzone, non sei mosso dalla voglia di essere notato dai produttori discografici; è un istinto naturale di cui non puoi fare a meno, ed è del tutto spontaneo”.

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Proprio come lui, che – nonostante sia finalmente riuscito a collezionare un tour italiano quasi interamente sold out (per lo meno per quanto riguarda le date già fatte, ma la tournée non è ancora terminata), è rimasto semplice, sincero, gentile con i giornalisti e soprattutto con il suo Italian Fanclub, che cresce sempre di più, ad ogni suo sorriso, ad ogni parola che dice, ad ogni splendida canzone.
C’è da precisare, però, che il merito non è tutto del carisma e del fascino che si porta appresso con quella naturalezza un po’ così: è stata Teresa Guccini, la figlia del celebre cantautore italiano, a crederci per prima e a portarlo nella Concerto Management, affiancata dal valido supporto dell’ufficio stampa GPC (Gaetano Petronio). Insieme, hanno dato a Jack l’opportunità che aspettava per farsi notare, lo hanno messo nelle condizioni per spiccare finalmente il salto di qualità. Ed ora eccolo qua, in tour a Treviso, Trieste, Bologna, Milano, Torino, Genova, Salerno e Roma. Insomma, nonostante le cicatrici Jack ci ha creduto fino alla fine, e ha vinto.
Lo abbiamo incontrato al Locomotiv Club di Bologna, città che gli sta particolarmente a cuore essendo appunto la sede del suo management. Ad affiancarlo, un team di musicisti arrivati insieme a lui da Londra, una super preparata Teresa Guccini a gestire ogni cosa, l’immancabile Fan Club e, sul palco, anche un duetto con la Violetta di X Factor. Per il resto, la scaletta è stata un mix delle ultime canzoni tratte da “Written in scars”, come “Tie me down” e “The other side of love” – che già tutti nella sala gremita conoscevano alla perfezione – più alcune delle precedenti: “Breaking the rules”, una meravigliosa “Changes” in acustico e persino l’italiana “Ancora tu”, come omaggio a Lucio Battisti.
Ecco cosa ci ha raccontato nel corso di un fantastico pomeriggio trascorso insieme.

Jack, è impossibile non pensare a te e associare il tuo “Written in scars” – anche e soprattutto considerando il tuo management – a “L’avvelenata” di Guccini. Non credi?

“Ad essere onesto è la primissima canzone di Guccini che mi ha colpito! Tuttavia, non credo che io e lui costituiamo un’eccezione: questa è un po’ la storia di tutti i piccoli o grandi cantautori che, come me, a una certa età prendono la chitarra in mano e cominciano a fare musica senza avere assolutamente in testa l’idea del business che si potrebbe sviluppare in futuro. All’inizio, tutto parte dalla voglia irrefrenabile di dover esprimere quello che senti dentro, qualunque cosa sia. Pertanto, credo di poter dire che “L’avvelenata” appartiene di fatto a tutti i cantautori che fanno questo mestiere con sincerità”

Hai trascorso tanto tempo in Italia da piccolo. Quali i ricordi più emozionanti?

“Ho sempre legato l’Italia a una sorta di dolce malinconia di gioventù, bellissima, un mondo dove per me era sempre estate, perché ero solito trascorrerci le vacanze. La mia visione di questo Paese passa attraverso quattro cose: il mare, la Liguria, il buon cibo e la felicità di stare in famiglia. Ora come ora, sebbene ami Londra, mi piace trascorrere più tempo possibile in Italia, magari anche venirci a vivere per una parte dell’anno se le cose andranno bene, un giorno. In ogni caso, ho ancora tanta curiosità di conoscerla meglio”

In un’intervista rilasciata qualche tempo fa hai detto che “sei cresciuto senza regole”. Che cosa ha significato per te e per la tua musica?

“Intendevo che non ero né anarchico né ribelle perché non ne avevo bisogno: i miei genitori mi hanno sempre dato molta fiducia, sin da quando ero giovanissimo e forse non la meritavo del tutto, ma è giusto che ognuno faccia da sé le proprie esperienze. Questo modo di essere cresciuto si è riflettuto inevitabilmente sulla mia musica, infatti non ho mai seguito una scuola, un’accademia o un insieme di regole precostituite: mi veniva naturale, ancora oggi imparo ogni giorno qualcosa in più e se l’ho amata tanto da subito è proprio perché per me significava libertà”

Che cosa ha aggiunto a tutto ciò la tua esperienza in California?

“Tutto per me. Sono cresciuto nel mito e nel sogno della California, poi quando a 17 anni sono andato per davvero a vivere a Los Angeles, il primo impatto è stato quello di non amare immediatamente la realtà che mi ero immaginato tanto a lungo. È una città molto solitaria se non conosci nessuno e arrivi come uno sprovveduto, ma nel momento in cui entri nel giro giusto, allora ti accorgi che è piena di musicisti favolosi, di opportunità lavorative e secondo me è anche fortemente simile alla Liguria: negli odori, nel senso di libertà, nella natura a contatto con il mare”

Hai detto che questo album in particolare è il frutto del tuo modo di affrontare la vita e di ciò che conta sul serio per te. Puoi sintetizzarlo in poche parole?

“L’importanza delle persone che ti stanno attorno e che ti concedono fiducia (NB: mia figlia è venuta una volta soltanto a vedere un mio concerto, ma ha sentenziato che strillo troppo!), la colonna sonora della mia vita e una grinta infinita, perché se non ci credi tu per primo non ci crederà mai nessun altro”

Chiudiamo con un sogno, come quelli che regali alle persone: cosa vorresti per il tuo futuro?

“Semplicemente continuare a fare la mia musica, riuscire a viverci e ripagare il tanto lavoro di coloro che mi hanno sostenuto. Se saliamo in alto, lo facciamo tutti insieme: per me questa è la soddisfazione più grande”

Chiara Giacobelli

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