Jakub Jankto, il centrocampista ceco, in forza allo Sparta Praga, con all’attivo ben 45 presenze con la Nazionale e con un passato calcistico in Italia, durato sette anni e trascorso tra l’Udinese, l’Ascoli la Sampdoria, ha fatto coming out. Il calciatore ha solo 27 anni, è ancora giovane, ha tutta la vita davanti a sé e ha deciso di viverla come vuole, alla luce del sole, senza doversi più nascondere nell’ombra del pregiudizio. Chissà che le sue parole non ispirino anche altri e li spingano a parlare liberamente, ma soprattutto chissà che il suo gesto non serva (anche) per cambiare i principi su cui si fonda il mondo del calcio, assolutamente maschilista, misogino e arretrato (oppure poco moderno, che dir si voglia).
Jakub Jankto è il primo calciatore di “alto livello” a dichiararsi omosessuale. Il primo giocatore famoso in tutto il mondo, che ha militato in varie squadre di vari Paesi, che ha indossato la maglia della nazionale del suo a fare coming out. Ma chissà che non sia il primo di una lunga lista. La speranza è l’ultima a morire.
Il calcio è un mondo maschilista. Non ci sono punti di domanda, perché non è un quesito, è un’affermazione. Il calcio è un mondo maschilista nel senso più profondo – e brutale – del termine: lo è perché è popolato da pochissime donne e perché troppo spesso gli uomini che invece “regnano sovrani” sono soliti (ahinoi) esercitare il loro potere per circuire, adescare e raggirare le donne, che – in pieno stile patriarcato – vedono come esseri inferiori e basta.
Sul primo punto possiamo limitarci a citare un paio di nomi: Rosella Sensi e Maria Sole Ferrieri Caputi. La prima è stata presidentessa della Roma, la seconda è attualmente la prima donna arbitro di serie A. Ma, nel primo caso, parliamo di una situazione che risale a più di dieci anni fa e che non ha aperto affatto le porte ad altri esempi, nel secondo parliamo di una professionista vera che non ha nulla di meno di un suo collega uomo, ma che è vista come un’aliena ed è sempre guardata, osservata, scrutata come se dovesse per forza compiere un errore da un momento all’altro. Perché è donna, è un essere inferiore, la sua stessa figura cozza con il mondo del calcio e allora sì, puntiamole i riflettori addosso aspettando che sbagli, perché un suo scivolone sarebbe imperdonabile, mentre gli innumerevoli commessi dagli uomini sono “normalissimi”. Al netto di queste due donne, in ogni caso, il calcio è manchevole di altre figure femminili.
Sul secondo punto potremmo aprire una parentesi lunghissima parentesi, ma anche in questo caso ci limiteremo a fare un nome: Manolo Portanova. Il 22enne, che ha militato in Lazio, Juventus e Genoa, figlio di Daniele Portanova, ex difensore, ha violentato un paio di anni fa quasi una studentessa a Siena ed è stato appena condannato a sei anni. Peccato che, però, sei anni non bastino per dimenticare quello che è accaduto a una povera ragazza innocente, che ha pagato solo lo scotto del suo essere donna in un mondo maschilista e di non avere, nello stesso mondo maschilista, il diritto di dire no quando vuole.
Non è però solo la sfera femminile a essere presa di mira nel calcio, perché è il razzismo in generale a regnare sovrano. Lo rivela l’Associazione Calciatori (AIC), che ha fatto luce su un dato agghiacciante: dopo la pandemia vi è stato “un sensibile aumento” di cori razzisti e messaggi xenofobi, di insulti verbali e minacce fisiche. A essere presi di mira sono soprattutto i calciatori di colore per quanto riguarda gli stranieri e quelli provenienti dal Sud Italia per quanto riguarda, invece, gli italiani.
Non è citata l’omofobia, che probabilmente non rappresenta un problema reale semplicemente perché i casi di omosessualità tra i calciatori sono continuamente insabbiati, la maggior parte di loro si nasconde per tutta la carriera (anche dopo) e in Italia, negli anni, guardando anche la storia pregressa, ci sono stati pochissimi casi, su 7mila professionisti.
Per fare qualche esempio – ma tanto sono pochissimi, quindi non impiegheremmo molto a citarli tutti – possiamo citare Thomas Hitzlsperger, sportivo tedesco, uno dei primi a fare outing pubblicamente. Era il 2014, il calciatore aveva militato anche nella Lazio e aveva fatto parte della Nazionale tedesca, pochi mesi aveva detto addio alla sua carriera e così aveva deciso di parlare, finalmente. Vi è poi Josh Cavallo, giocatore australiano che indossa la maglia dell’Adelaide United, che circa un paio di anni fa ha deciso, allo stesso modo, di fare outing. L’anno dopo toccò a Jake Daniels, calciatore inglese attaccante attaccante dell’EFL Blackpool.
Il problema è che – probabilmente – il calciatore è sempre visto come una figura virile, che nell’immaginario comunque ancora oggi, nel 2023, non collima affatto con quella del gay, come se esserlo significasse non essere un uomo vero. In realtà, per chi non lo sapesse, gli omosessuali sono uomini esattamente come gli eterosessuali e l’essere “effemminati” (così si dice, no?) non è affatto una conseguenza diretta della propria sessualità. Ci sono – senza fare nomi in questo caso, sarebbe troppo poco delicato e inopportuno – anche personaggi famosi, cosiddetti Vip, eterosessuali, ma comunque molto poco virili e altri, invece, dichiaratamente omosessuali, ma per nulla “effemminati”.
Un “calciatore gay” non è un ossimoro: queste due parole possono coesistere pacificamente nella stessa frase (ma anche nella vita quotidiana). Eppure molti non lo comprendono e il calcio continua ad essere, ancora oggi, uno dei luoghi in cui i retaggi del passato sovrastano la modernità e in cui l’uomo deve per forza indossare un’armatura da “super maschio alfa”, mentre la donna è considerata una comparsa e non una protagonista e quelle rare volte che lo è diventa bersaglio di critiche a priori e di pregiudizi.
Per questo motivo l’outing di Jakub Jankto potrebbe rappresentare un punto di svolta assoluto.
“Ciao, sono Jakub Jankto. Come tutti gli altri. Ho i miei punti di forza. Ho le mie debolezze. Ho una famiglia. Ho i miei amici. Ho un lavoro che lo svolgo come meglio posso, da anni, con serietà, professionalità e passione”, spiega l’ex calciatore di Sampdoria, Udinese e Ascoli. Come tutti gli altri, anche io voglio vivere la mia vita in libertà. Senza paure. Senza pregiudizi. Senza violenza. Ma con amore. Sono omosessuale e non voglio più nascondermi”: con queste semplici, concise, ma dirette parole Jakub Jankto ha fatto outing. Lo ha fatto in un video, con una musica di sottofondo e chissà quante volte ci avrà pensato prima di premere play.
Sì, perché il centrocampista ceco, in forza allo Sparta Praga – ma in prestito dal Getafe, club della Liga spagnola – con all’attivo ben 45 presenze con la Nazionale e con un passato calcistico in Italia, durato sette anni e trascorso tra l’Udinese, l’Ascoli la Sampdoria, ha solo 27 anni, è giovanissimo, ma è anche considerato un giocatore internazionale di alto livello. Possiamo affermare quindi che è il primo di questo calibro a dichiarare apertamente la sua sessualità e chissà che non sarà il primo di una lunga serie.
Pochi giorni prima di pubblicare il video, ne aveva parlato con la sua attuale squadra. Probabilmente nessuno lo avrà giudicato, nessuno gli avrà puntato il dito contro e così si sarà sentito libero di ampliare la platea a cui parlare. “Lo scopo è dare coraggio agli altri”, queste le sue parole. Sì, perché il suo scopo era ed è quello di fungere da esempio e di non restare un unicum tra i “grandi del calcio”.
Immediatamente sono comparsi sui social migliaia (forse anche di più) di commenti: da un lato, c’è chi ha apprezzato tantissimo il suo coraggio, dall’altro, invece, chi lo ha riempito di insulti, perché, a detta di alcuni utenti, mostrare il proprio orientamento ormai è diventata quasi una moda (non potrebbe solo essere in alcuni casi una liberazione?), ognuno dovrebbe tenersi per sé la propria sfera privata (ma se sei un personaggio pubblico come fai a farlo?) e addirittura c’è chi ha detto che ogni individuo non dovrebbe “disturbare ciò che lo circonda” (è così un disturbo ascoltare, accogliere e non giudicare la sessualità altrui?).
A parlare, però, poi – e questo accende un ulteriore barlume di speranza – è stata anche l’ex compagna del calciatore, che ha commentato così le sue parole: “Sarà sicuramente sollevato e non si farà più logorare da questa cosa. Aveva paura che la gente non lo accettasse”. A quanto pare lei sapeva ed è stata tra le persone che non solo non lo ha giudicato, ma ha accettato la realtà.
Il punto, però, adesso è questo: quando gli sportivi – i calciatori soprattutto nello specifico – la smetteranno di avere paura di dichiarare il loro orientamento? In realtà non è una domanda retorica, perché una risposta esiste eccome: questo accadrà quando ci sarà un cambiamento nella mentalità maschilista, misogina e arretrata che invade completamente tutte le persone che popolano il mondo del calcio. Solo allora ognuno si sentirà libero al 100% di esprimere sé stesso, di mostrare davvero chi è, di ammettere senza mezze misure come stanno davvero le cose nella sua sfera privata (ovviamente se e quando vuole farlo).
Fino ad allora, poco cambierà. Ma chissà che non sia proprio il caso di Jakub Jankto a smuovere la situazione.
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