Jaselli presenta a NanoPress ‘Monster Moon’, il nuovo album targato Universal e uscito venerdì 6 maggio. Anticipato da uno showcase che si è tenuto alla Triennale di Milano, il disco è stato registrato lo scorso luglio a Los Angeles, in un arco di tempo in cui le intense attività lunari hanno influito sulla realizzazione di Monster Moon, registrato quasi interamente in presa diretta.
Perché Monster Moon?
Mentre registravamo il disco c’è stata una blue moon: quando ci sono due lune nello stesso mese, la seconda è chiamata blue. Quando succede una cosa rara, gli americani dicono che succede ‘once in a blue moon’ e ci è sembrata una coincidenza da tenere in conto. Poi, masterizzando il disco, c’è stata la blood moon, questa luna rossa molto vicino alla terra; mentre scrivevo le canzoni del disco c’erano continue eclissi: la luna piena, la luna vicina alla terra, eccetera. Sono sempre stato succube delle fasi lunari, io stesso sono molto lunatico. La luna fa uscire la natura animale del licantropo e nella canzoni c’è una parte molto istintiva. Questo album è un po’ meno controllato e un po’ più istintivo, è un insieme di cose, per questo lo abbiamo chiamato Monster Moon.
Da cosa è scaturita la scelta di registrare a Los Angeles?
Era la cosa più logica per noi perché la nostra musica viene da quegli ascolti e vuole andare lì a confrontarsi, non con gente di un altro posto che fa questo tipo di musica, ma con gente a cui non frega da dove proviene la tua musica, ma fa parte di quel campionato; quello che hai assorbito lo ributti tutto fuori con un suono tuo. Man mano che scrivevamo e dopo aver finito il tour e i pezzi, abbiamo capito che potevamo andare a Los Angeles, fare un giro da qualche produttore e trovare quello di cui innamorarci artisticamente e che si innamorasse del nostro progetto. Tre ragazzi che avevano appena finito un tour si registravano un disco in America con i soldi messi da parte durante le date.
Avete registrato l’album quasi in presa diretta.
In realtà a noi sarebbe piaciuto registrare tutto in presa diretta, però avevamo dei limiti: non sapevamo dove saremmo finiti con le sonorità e, una volta arrivati in studio, abbiamo dovuto capire come affrontare certi pezzi e certe situazioni. Puoi registrare in presa diretta solo se hai tutto molto chiaro, se la line up è quella definitiva e registri; così, invece, era tutto molto sperimentale, impossibile da fare se prendi una strada di questo tipo.
Avete riscontrato qualche differenza tra la discografia italiana e quella americana?
La nostra esperienza discografica prima di questo disco era talmente deprimente che ogni proposta che ci è stata fatta è stata rifiutata. Adesso abbiamo avuto una bellissima sorpresa perché abbiamo trovato nella Universal una squadra che ha creduto in noi, senza interferire su quello che era stato fatto artisticamente e supportandoci, scommettendo insieme a noi; di gavetta ne abbiamo fatta e non lo davamo per scontato.
Tra le tracce presenti in Monster Moon spicca ‘The End’. Di cosa parla?
The End è nata durante il tour del disco precedente, l’abbiamo portata live prima ancora che finisse e ha segnato l’inizio di un nuovo percorso. Avevamo cambiato il nostro modo di suonare e ce ne siamo accorti suonando e arrangiando questa canzone. Si chiama The end, ma è un inizio. Scrivendo il testo mi sono accorto che la fine è anche l’inizio, è un confine davanti a cui finisce una cosa e poi ne inizia un’altra; è una cosa con cui mi sono trovato a fare i conti anche nella mia vita personale. Ogni tanto occorre saper mettere un punto per fare iniziare qualcosa di nuovo. Paul Valéry diceva ‘Splende di inizio ogni frattura’: ogni inizio, ogni rottura in sé, è un nuovo inizio.
Sarete in tour fino a fine estate.
Per ora sono state annunciate queste date, ma credo che se ne aggiungeranno altre.
Registrate in America, ma le date del tour sono italiane. Avete l’obiettivo di puntare all’estero?
Sì, l’obiettivo è andare in giro per il mondo. Noi non avevamo il sogno americano, semplicemente è come il cuoco che vuole imparare la cucina molecolare andrà da Ferran Agrià in Spagna. Allo stesso modo, per noi questo tipo di musica era da registrare lì per trovare un nostro suono, che fosse unico, che si possa sentire in qualsiasi parte del mondo, che ci identifichi. Piaccia o non piaccia, siamo noi e vogliamo portarlo a più persone possibili.