Il presidente cinese Xi Jinping ha recentemente dichiarato che la Cina ha intrapreso un percorso di ricerca che è improntato alla costruzione di un ordine internazionale che sia caratterizzato da principi di giustizia ed equità. Inoltre, Xi ha puntato molto durante il suo discorso sul rifiuto delle autorità di Pechino verso una mentalità che promuove la divisione e il conflitto tra quelli che ha definito ‘blocchi’ ovvero alleanze distinte e contrapposte.
Tale posizione è stata espressa con fermezza, sottolineando la volontà della Cina di promuovere una cooperazione globale, basata sul dialogo e sulla comprensione reciproca.
Le parole di Xi hanno sottolineato l’impegno del governo cinese nel perseguire un sistema internazionale più inclusivo e bilanciato, che non favorisca alcun blocco o gruppo di Nazioni a discapito di altri Paesi. La Cina propone di realizzare un nuovo ordine mondiale equo che riesca ad apportare possibilità, sviluppo e partecipazione a tutti senza distinzioni.
Questa dichiarazione di Xi è stata condivisa in un momento in cui i rapporti tra le principali Potenze mondiali sono caratterizzati da tensioni e rivalità. Pechino però ha scelto di direzionarsi in una prospettiva differente, cercando di promuovere un’agenda di cooperazione e coesistenza pacifica.
Il Paese asiatico sostiene difatti che il confronto tra blocchi non sia la soluzione migliore per affrontare le sfide globali, ma è necessario piuttosto un approccio basato sul dialogo e sulla negoziazione.
Jinping ha proposto una visione della Cina come attore responsabile sulla scena internazionale, impegnata a promuovere la pace, la stabilità e la prosperità comune.
Pechino, con la sua crescita economica significativa e la sua influenza geopolitica in aumento, cerca di svolgere un ruolo costruttivo nel plasmare l’ordine globale, favorendo la cooperazione multilaterale e l’integrazione regionale.
Il presidente cinese ha sollevato anche la questione dell’espansione del gruppo BRICS delle economie emergenti al fine di costruire un ordine internazionale più equo.
Durante il vertice BRICS tenutosi a Johannesburg, in Sudafrica, Xi ha sottolineato che la Cina non è interessata a partecipare a una competizione di potere o a creare divisioni tra blocchi. Ha ribadito che: “l’egemonismo non fa parte della mentalità del suo Paese.”
Il leader di Pechino ha espresso la convinzione che la Cina si trovi dalla parte giusta della storia e che debba perseguire una causa giusta per il bene comune. Queste parole sono state pronunciate durante un forum d’affari e riportate dal ministro del Commercio Wang Wentao.
Il presidente cinese ha sottolineato che nonostante le eventuali resistenze, i BRICS continueranno a crescere. Ha affermato che: “il mondo sta vivendo cambiamenti senza precedenti e che l’umanità si trova in un punto critico della storia.”
Le parole di Jinping riflettono l’impegno della Cina a promuovere un ordine internazionale più giusto ed equo attraverso la cooperazione con altre economie emergenti rappresentate dai BRICS. Pechino cerca di evitare le divisioni tra blocchi e di lavorare per il bene comune, riconoscendo l’importanza di affrontare le sfide globali in modo congiunto.
Quindi durante il vertice BRICS, il presidente Xi ha sottolineato l’importanza di espandere il gruppo delle economie emergenti per costruire un ordine internazionale più equo. La sua visione si basa sulla convinzione che la Cina agisca per il bene comune e che i BRICS continueranno a crescere nonostante le sfide attuali.
La mancata partecipazione del presidente cinese Xi Jinping all’evento, al quale hanno preso parte il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e il primo ministro indiano Narendra Modi, non è stata chiaramente spiegata. Ma è importante notare che in precedenza Xi ha già incontrato Ramaphosa, il quale era l’ospite del vertice, e aveva espresso che i loro paesi si trovavano in un “nuovo punto di partenza storico”.
Cina e Russia, entrambe oggetto di pesanti sanzioni da parte degli Stati Uniti, sono interessate a espandere il gruppo dei BRICS al fine di contrastare il dominio occidentale sulle istituzioni e gli affari internazionali. Paesi come l’Arabia Saudita, l’Indonesia, l’Iran, l’Argentina e l’Egitto hanno manifestato interesse per unirsi al blocco attualmente composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, che rappresenta circa il 40% della popolazione mondiale e oltre il 25% dell’economia globale.
Tuttavia, è importante notare che il gruppo dei BRICS è in fase di espansione e che Brasile e India sono considerati più ambivalenti riguardo alla crescita del blocco. Questo suggerisce che potrebbero esserci differenze di opinione tra i membri esistenti e potenziali nuovi membri riguardo all’allargamento del gruppo e ai suoi obiettivi.
In conclusione, la mancanza di partecipazione del presidente cinese Xi Jinping all’evento dei BRICS non è stata spiegata chiaramente. È però evidente che Mosca e Pechino desiderano espandere il gruppo per bilanciare il dominio occidentale. Allo stesso tempo, altri paesi hanno manifestato interesse ad unirsi al blocco, ma ci potrebbero essere differenze di opinione tra i membri esistenti e potenziali nuovi membri riguardo all’allargamento del gruppo.
Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha dichiarato che i BRICS non cercano di essere un “contrappunto” al G7, al G20 o agli Stati Uniti, ma semplicemente di organizzarsi. Questo suggerisce una visione divergente rispetto all’idea di contrapposizione o di sfida nei confronti dei blocchi occidentali.
Oltre all’espansione del numero dei membri, il vertice dei BRICS ha discusso anche delle modalità per aumentare l’uso delle valute locali nelle transazioni commerciali e finanziarie, al fine di ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense.
Il presidente russo Vladimir Putin, che non ha partecipato di persona al vertice, ha affermato in una dichiarazione preregistrata che il processo di de-dollarizzazione nell’economia del blocco dei BRICS è “irreversibile” e sta guadagnando slancio.
È da notare che il presidente Putin è stato oggetto di sanzioni occidentali a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La sua partecipazione al vertice dei BRICS è stata rappresentata dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, il che indica che Mosca continua a essere attiva nel contesto dei BRICS nonostante le sfide che affronta a livello internazionale. La discussione sulla de-dollarizzazione riflette in maniera chiara l’interesse dei BRICS a ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense.
Mentre si parla di possibilità per tutti e di portare avanti cooperazione senza restrizioni emerge una questione condivisa da Washington e che riguarda Pechino che ha generato malcontento e preoccupazione.
Da Washington è stata condivisa la notizia di nuove restrizioni ai limiti sui visti introdotte verso diversi funzionari cinesi, che sono sospettati di avere preso parte all’assimilazione forzata di bambini tibetani sottratti dai collegi statali in Tibet. Una notizia molto seria e preoccupante che ha generato malcontento nella comunità internazionale.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken non ha condiviso nomi o notizie specifiche su chi avrebbe presumibilmente compiuto queste azioni, ma ha chiesto alla Cina di concludere le politiche “coercitive” nella regione del Tibet.
Le affermazioni riguardanti l’assimilazione forzata dei bambini tibetani si riferiscono alle preoccupazioni sollevate da alcuni gruppi e organizzazioni sui programmi educativi cinesi che potrebbero influenzare negativamente l’identità culturale e la lingua tibetana.
È importante notare che le relazioni tra Stati Uniti e Cina sono complesse e influenzate da una serie di questioni, tra cui i diritti umani, commercio, sicurezza e altre questioni politiche ed economiche. Le restrizioni sui visti sono solo una delle molte azioni che possono essere intraprese da parte di un Paese per esprimere preoccupazione o esercitare pressione.
Blinken ha esortato le autorità cinesi a porre fine alla coercizione dei bambini tibetani nei collegi statali gestiti dal governo e a cessare le politiche repressive di assimilazione non solo nel Tibet, ma anche in altre parti della Repubblica popolare cinese.
Le preoccupazioni sollevate da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite a febbraio riguardano il sistema delle scuole residenziali che sembra agire come un programma obbligatorio su larga scala, mirato ad assimilare i tibetani nella cultura maggioritaria Han. Il sistema si è espanso a seguito della chiusura delle scuole rurali, separando circa un milione di bambini dalle loro famiglie e costringendoli a frequentare istituti in cui sono obbligati a seguire un programma di “istruzione obbligatoria” in lingua cinese mandarino, senza però continuare l’approfondimento dell’istruzione sulla lingua madre, la storia e la cultura tibetana.
Queste politiche hanno conseguenze negative sulla lingua madre dei bambini tibetani, la loro capacità di comunicare con la propria famiglia in lingua madre e, di conseguenza, contribuiscono alla loro assimilazione e all’erosione dell’identità tibetana.
Questa notizia si scontra ampiamente con le parole pronunciate da Xi Jinping che proclamano inclusione, uguaglianza e rispetto. Nonostante il governo cinese professi queste caratteristiche come auspicio per la comunità globale la questione, delicatissima, dei diritti umani rimane una delle costanti preoccupazioni per la comunità internazionale.
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