La giustizia britannica ha respinto l’istanza di estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks e ne ha ordinato la liberazione dal carcere. A emettere il verdetto, che ha sorpreso rispetto alla attese, la giudice Vanessa Baraister.
Assange è accusato di pirateria e spionaggio per aver contribuito a diffondere e svelare file riservati americani che, tra l’altro, erano anche relativi a crimini di guerra commessi in Afghanistan e Iraq.
Assange rischiava una condanna a 175 anni
Secondo la giudice, che ha decretato la scarcerazione del fondatore di WikiLeas, l’uomo, che oltreoceano rischiava una condanna a 175 anni, è a rischio suicidio. A questo punto, con il verdetto emesso oggi, Washington potrà decidere di ricorrere in appello.
Nel mentre, la scarcerazione di Assange è stata accolta dalle lacrime della sua compagna, Stella Morris, e dall’abbraccio con l’attuale direttore di WikiLeaks, Kristin Hrafnsoon.
“Stabilisco che l’estradizione sarebbe troppo oppressiva per ragioni di salute mentale e ordino il suo rilascio” ha detto il giudice Baraister, che avrebbe negato l’estrazione perché le garanzie date dalle autorità americane sarebbero state insufficienti a tutelare il pericolo di un eventuale tentativo di togliersi la vita da parte di Assange.
Il fondatore di WikiLeaks resterà in custodia in attesa delle indicazioni sulla cauzione
Assange adesso resta in custodia in attesa dell’indicazione, che arriverà in giornata, di una cauzione. Grazie ad essa, il fondatore di WikiLeaks potrà essere scarcerato nelle prossime ore.
Per ripercorrere i fatti che hanno portato alla sua incarcerazione, nel maggio 2019 Assange è stato incriminato ai sensi della legge anti-spionaggio degli USA del 1917. Come abbiamo già detto, è stato accusato di aver raccolto e pubblicato documenti militari e diplomatici statunitensi.
Diversi attivisti internazionali si sono detti preoccupati per la salute di Assange, vedendo concreta la possibilità di maltrattamenti ai danni dell’uomo durante la sua detenzione in America. Per questo è stato più volte citato l’articolo 3 della Convezione delle Nazioni Unite sui diritti umani, che dice che: “Nessuno stato può espellere, restituire o estradare una persona in un altro Stato in cui sussistano fondati motivi per ritenere che rischierebbe di essere sottoposta a tortura”.