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Assistere alla partita in mezzo ai tifosi invece che in tribuna stampa ha tutto un altro sapore. Certo, non si ha la stessa comodità per scrivere perché le ginocchia diventano il tavolino e si è travolti dal marasma della passione, ma è proprio in questo disordine colorato che sta la bellezza dell’esperienza. Ero al primo anello (grazie a HTC per l’invito), praticamente nel lato opposto di campo al tratto di prato arato dall’avanti-indietro di Antonio Conte, e ho seguito il ritorno dei quarti di finale tra Juventus e Lione terminato 2-1 col passaggio del turno dei bianconeri. Ma in questo articolo non parlerò della partita in sé (se vi interessa il tabellino, eccolo qui), quanto dello spettacolo nello spettacolo del match visto attraverso gli occhi o meglio dire attraverso la bocca, sbraitato a volte e sussurrato in modo inquietante e quasi mellifuo altre, da parte del mio vicino di posto psicopatico e del proprio figliolo-megafono.
In realtà non era seduto di fianco, quanto dietro e di tre quarti, in una posizione che lo celava allo sguardo ma non all’udito. Non so – nemmeno ora – come si chiami, non so che faccia abbia. Non perché temessi di girarmi, ma perché ho preferito che tutto rimanesse suono, o meglio rumore cartavetrato sulla gola in certi casi e sussurro mefistofelico altri. Subito pensavo fossero due persone, invece era una soltanto che cambiava totalmente tono e modo, posseduto da un’entità maligna. Al fischio di inizio urla:
1′ – “Francesi del c***ooooooo!” – interminabile, modulato, intermittente che si è perso e mixato nelle urla dello stadio, ricordo il timbro come se fosse quello dei casi umani che parlano girati di schiena in TV col cappuccio a nasconderli.
Ma era anche lo stesso che appena 30 secondi dopo si è seduto, credo abbia rivolto lo sguardo verso il figlio sussurrandogli con una voce stranamente amorevole:
2′ – “Non si lavano, sono senza bidet, non sanno nemmeno cos’è. Si cambiano le mutande una volta ogni 4 giorni”.
Un quasi gol di Tevez fa sussultare lo Juventus Stadium, ma il figlio rimane zitto fino al quarto minuto, poi Pirlo segna su punizione e il piccolo mostro accende l’interruttore del megafono che evidentemente qualcuno gli ha installato in gola. I bambini hanno voci acute, ma la sua è qualcosa di bellico, credo abbia attraversato il mio cranio perdendosi poi nelle profondità della Terra, come un neutrino poi è uscito senza urtare più nulla verso lo spazio cosmico.
4′ – “Figli di tr**aaaaaaaa” – ha urlato per la precisione l’infante, mentre il padre si perdeva in un gorgheggio non decifrabile nell’orgasmo collettivo.
Per qualsiasi squadra si “tenga” è sempre emozionante trovarsi in mezzo all’esultanza di un gol perché sembra abbiano annunciato che la guerra è finita e che si ritorni tutti a casa. È altrettanto interessante notare come i tifosi cambino velocemente idea, nel giro di un’azione.
11′ – “Non tira mai, c***o, non tira mai” – urla il padre nei confronti di Tevez, che sembra quasi ascoltarlo perché poco dopo gira di prima e il portiere del Lione sventa in angolo, al che, dopo che tutti si sono riseduti dopo l’urlo da quasi gol, sussurra al figlioletto – “Eh, ma quanto è bravo però, vedi come a volte le disgrazie servono a qualcosa (la voce ancora più sottile tanto che devo inarcare la schiena per ascoltare meglio) magari se non fosse stato sfigurato sarebbe stato meno cattivo”.
Il bambino megafono emetteva i suoi acuti assassini con una frequenza quasi matematica, a volte cavalcando l’onda emotiva dello stadio, unendosi a cori, ma spesso era solitario e coraggioso negli interventi, anche se un po’ scomposto come Chiellini quando arriva a valanga. Il Lione reclama per un tocco di mano in area, lui:
13′ – “Che vuoi, m***a, che vuoi, stai zitto mangia rane!”
Il padre:
13′ – “Ma cheeeeaaaaeee, muori – poi sedendosi – hai sete, vuoi un po’ di coca?”.
Ma arriva il gol del pareggio dei francesi, un carambolone e un colpo di testa non impossibile che beffa Buffon. Il gelo cala sui posti intorno, non commenta nessuno, nemmeno la coppia alle mie spalle. E al 29′ arriva la scossa che riattiva il megafono, una bella parata del portiere bianconero:
29′ – “Sììì Gigiiiiiii” – con la “i” che si fa la punta come una matita, sempre più affilata più viene emessa fino a essere scoccata e a passare attraverso le ossa craniche e facciali, inarrestabile.
Isla è il nemico pubblico numero uno, stimola associazioni di divinità con animali da cortile soprattutto il buon maiale del quale non si butta via niente e infatti viene declinato in tutte le sue varianti. Il padre ritorna a sussurrare, inarco la schiena e sono d’accordo con lui:
35′ – “Hai visto che cross? Conte dovrebbe prenderlo e lasciarlo a tirare ottomila cross al giorno finché impara, ma io dico, all’Udinese sembrava un fenomeno questo chi è? E’ il suo fratello scemo? – poi si infervora, lascia il figlio e il sussurro e si alza in piedi – “Isla sei un pezzo di m***a tornatene a casa tua in Uruguay”. E’ cileno.
Finisce il primo tempo e il padre saluta le squadre:
45+1′ – “Bastardiiiiii – poi si rivolge al pargolo – andiamo a prendere una cochina fresca”.
Volutamente non mi giro a guardarli perché voglio ricordarmeli solo come voci, non come facce, perché si tende a dimenticare il timbro di una persona prima delle sue sembianze. Succede coi parenti, figuriamoci con chi si incontra una volta e non si incontrerà più. Con la coda dell’occhio li vedo, di spalle, addentrarsi verso il sotto delle tribune per comprare la lattina, il megafonobambino avrà non più di 8 anni, il padre indossa un qualcosa di colore giallo accceso.
46′ – “Ma cheoooooaaaaaa ancora quei due str**i di Isla e Vucinic dentro, ma Conte ca**o, ma metti Llorente e tirali via”, debutta il padre arrivando di corsa a partita appena ricominciata, poi parte la disamina matematica “Ormai non si va più ai supplementari, così tua madre non mi scassa perché domani devi andare a scuola, comunque hanno segnato, se ne fanno un altro passano loro”.
Ma il bambino è interessato al gioco e esplode una bomba atomica acustica rivolto ad Asamoah che stava sfrecciando proprio di lì. Il ghanese crossa forte e teso in mezzo, ma Tevez non riesce a trovare la carambola”
52′ – “Asaaaaa vaiiiii” – e immagino la sua gola estroflessa evadere dalla bocca come una cravatta, talmente spaventoso esce l’urlo, sembra che anche lo stesso Asamoah se ne sia accorto transitando di lì visto che per un attimo si incespica.
Quando Llorente finalmente entra al posto di Vucinic, il montenegrino è “accompagnato” fuori dallo stadio da improperi scroscianti, il padre sentenzia:
59′ – “Vai a giocare in ciabatte nel cortile di casa tuo, str***o, pensi solo al golf ormai… vai Nando!!!”.
E (Fer)Nando cambia subito faccia alla partita, dando più frizzantezza e concretezza fino al gol, annullato, a Tevez che scatena ancora una volta l’urlo simultaneo e stereofonico dei miei due amici come due spade laser da Star Wars che si intrecciano tra le mie orecchie. No, non è gol, è fuorigioco e così il padre informa l’arbitro e il guardialinee di provenire da madre ignota e particolarmente brava nel proprio mestiere, se già non lo sapessero. Ma mentre Isla continua a dare il peggio di sé, Marchisio trova la perla e la deviazione dell’avversario per quello che sarà il 2-1 definitivo. Il bambino stava bevendo la Cochina perché ha iniziato l’urlo in modo liquido con migliaia di bollicine che sono risalite da gola e naso durante l’urlo, ho visto schizzi marroncini sfiorarmi andando a terminare la loro corsa sul mio dirimpettaio. 2 a 1.
Compare un pipistrello all’81esimo poco prima che Marchisio fosse ammonito per uno sgambetto stupidino (che ha quasi fatto ribaltare di rabbia lo stadio), inizia a svolazzare terrorizzato spostandosi da una curva all’altra, fermato ogni volta dai giga-riflettori che lo abbagliano. Il figlio:
82′ – “Guarda papà un uccellino, ma che bello, vuole vedere anche lui la partita”. Sembra un altro, non è più lui, la sua voce è più bassa quasi da essere umano e non spara insulti osceni a raffica rivolti alle madri dei giocatori del Lione né sulle preferenze sessuali dell’arbitro. Il pipistrello-uccellino distrae il bimbo megafono che si risveglia solo quando entra Giovinco, quando il padre conferma: “Sì, è alto poco più di te”.
C’è anche spazio per la ola prima di un fallaccio sullo stesso Giovinco che accende il padre che terminerà il proprio catalogo di insulti al ’90. Una brevissima pausa, perché al termine dei due minuti di recupero, quando l’abirtro fischia tre volte, babbo e figlio saltano esultando e credo sia una bella immagine, perché sento che si abbracciano. “Sono proprio contento di aver visto questa partita con te”, grida il padre nell’orecchio del figlio e pure del mio che sono a 20 centimetri, poi quando il ruggito dello Juventus Stadium si assopisce, il padre si prende il suo momento finale. Anche senza vederlo lo immagino alzarsi bello dritto, gonfiare il petto e la maglia gialla, avvicinare la mano alla bocca per amplificare il suono e poi decretare:
92′ – “La baguette ficcatevela in c**o!”