Chissà, forse senza quell’irrefrenabile passione per Disneyland Kim Jong-nam oggi sarebbe il dittatore della Corea del Nord ma, soprattutto, sarebbe ancora vivo. Se non fosse caduto in disgrazia agli occhi del padre, proprio per quella fuga nell’odiato Giappone per portare la famiglia al parco divertimento, forse al posto di Kim Jong Un ci sarebbe lui. Invece è stato abbandonato dal regime fino a quando, il 13 febbraio 2017, è stato avvelenato all’aeroporto Internazionale di Kuala Lumpur, in Malesia, in circostanze ancora poco chiare.
Kim Jong-nam, nato a Pyongyang nel 1970, era il panciuto fratellastro dell’attuale dittatore Kim Jong Un, e figlio primogenito di Kim Jong-il, il “Caro leader” della Corea del Nord morto nel 2011. Figlio illegittimo, secondo molti, motivo per cui non avrebbe avuto diritto a ereditare il potere del padre, che lo aveva concepito con la seconda moglie Song Hye-rim. Nonostante questo, pare che fosse stato designato proprio lui come successore. Se non fosse che è poi caduto in disgrazia, appunto.
Prima del declino aveva studiato all’estero: a dieci anni Kim Jong-nam fu mandato in Occidente dalla famiglia per studiare in Svizzera. Tornato nella Repubblica Democratica Popolare, fu promosso dal padre ai vertici dei servizi segreti nordcoreani. Il primo successo fu la purga con cui nel 1996 fece fuori una decina di oppositori politici. Nulla in confronto al fratellastro che, salito al potere, ammazzerà per molto meno: in Corea del Nord, infatti, se ti addormenti mentre parla il dittatore sei morto, anche se sei un ministro.
L’abilità di Kim Jong-nam nel campo tecnologico e informatico gli fece guadagnare negli anni punti agli occhi del padre, che lo vedeva già come suo successore. Poi, il primo maggio del 2001, tutto cambiò e il Nostro divenne la pecora nera della famiglia. Innamorato del Giappone, dove più volte era riuscito a entrare in incognito, il “piccolo generale” si fece arrestare all’aeroporto di Narita, vicino Tokyo, mentre tentava di entrare illegalmente nel Paese. Furono fermate insieme a lui due donne (tra cui la segretaria e interprete) e un bimbo di quattro anni, forse il figlio.
Kim aveva provato a ingannare le autorità giapponesi con un passaporto falso della Repubblica Dominicana, da cui gli agenti risalirono ad altri tre ingressi risalenti all’anno precedente. Kim Jong-nam confessò la vera identità alla polizia e che era entrato in Giappone per andare a visitare Tokyo Disneyland. I quattro furono espulsi e trasferiti a Pechino.
Da allora Kim Jong-nam ha vissuto tra Pechino, Macao e il sud-est asiatico senza mai rivendicare il trono, anche perché lo scandalo dell’arresto in Giappone per andare a Disneyland lo aveva affossato agli occhi del Caro leader. La situazione precipitò nel 2002, quando la mamma Sung Hye-Rim, da tempo malata, morì.
Nel settembre 2004 Kim Jong-nam fu avvistato all’aeroporto di Pechino, mentre scendeva dall’aereo da solo, senza scorta, come un tizio qualunque. Nonostante stessero già girando voci che alcuni sicari nordcoreani (addestrati da Kim Jong Un) lo volevano morto per assicurare il trono al mandante. Kim Jong-nam era ormai finito. Tanto che il 28 dicembre 2011, mentre in una Pyongyang innevata venivano celebrati i funerali solenni del padre, con la solita sceneggiata da regime, lui era assente. Il grande assente. E Kim Jong Un poté prendere tranquillamente in mano il regime.