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Kim Jong-un vs Trump: chi è pazzo (e chi no)

Kim Jong-un e Donald Trump, Corea del Nord e Stati Uniti: il mondo è stretto nella morsa dei due Paesi che hanno tolto la maschera della diplomazia e si sfidano a viso aperto. Per un Trump che promette “fuoco e furia”, c’è un Kim pronto a una “vendetta mille volte più grande”, con la minaccia di colpire gli USA sull’isola di Guam (sede di una delle più grandi basi militari statunitensi). La tensione è ai massimi livelli anche per colpa del carattere, o meglio caratteraccio, dei due leader: finita l’era dei toni sottomessi di Barack Obama, alla Casa Bianca non solo si alza la voce ma si usano espressioni talmente fuori dagli schemi da mettere in allarme gli stessi media americani. Il termine che oggi più si usa da una sponda all’altra dell’oceano per definire i due leader è “pazzo“: siamo davvero nelle mani di due folli? Chi è pazzo e chi no?

A prima vista, Kim Jong-un sembra un folle. Le manie del dittatore nordcoreano sono talmente tante che è difficile trovare una cosa sensata. Il taglio di capelli, la passione smodata per il cibo e il vino francese, l’abbigliamento ma soprattutto le atrocità e bizzarrie che hanno fatto il giro del mondo, dallo zio sbranato dai cani, al ministro fucilato per essersi addormentato o l’ex fidanzata giustiziata per dei video porno.

Donald Trump invece è il classico miliardario USA e come tale continua a comportarsi anche da presidente. Più che pazzo lo si potrebbe definire eccentrico, forse pacchiano nell’esibizione della ricchezza e del potere ma sostanzialmente inoffensivo, anche perché frenato da un solido sistema democratico.

Eppure, a detta degli esperti, Kim Jong-un non è pazzo, mentre negli USA psichiatri e politici discutono da mesi sulla reale sanità mentale di Trump.

Kim Jong-un non è pazzo

[didascalia fornitore=”ansa”]Kim Jong-un ritratto mentre impartisce ordini ai militari[/didascalia]

Kim Jong-un non è pazzo ma un sopravvissuto. A dirlo è Andrei Lankov, professore all’università di Seul, in un articolo pubblicato su Foreing Policy (“Kim Jong Un Is a Survivor, Not a Madman” è il titolo). Lankov non è il solo a pensarla così: lo fanno tutti coloro che conoscono la Corea del Nord e la dinastia dei Kim.

Fu il Washington Post a mettere insieme i pareri degli esperti più autorevoli lo scorso marzo quando il senatore John McCain disse che Kim era pazzo.

Se ritenete Kim Jong-un una persona irrazionale, lo state implicitamente sottovalutando“, fu l’opinione di John Park, direttore del Korea Working Group alla Harvard Kennedy School.

Il prestigioso quotidiano ricordò una delle affermazioni di Niccolò Machiavelli per cui spesso è utile far credere ai propri nemici di essere folle, come fece Richard Nixon quando lasciò che i vietnamiti lo ritenessero un folle secondo la cosiddetta “madman strategy“, la strategia del pazzo (per poi comunque perdere la guerra, ma questo è un altro discorso).

Di persona si comporta in modo estremamente professionale e diplomatico. A volte è serio, a volte divertente, ma mai strano o bizzarro“, ha raccontato Michael Spavor, canadese a capo del progetto di scambi economici sportivi e culturali Paektu Cultural Exchange, che lo ha incontrato.

È ancora al potere: lui, il padre, il nonno, sono riusciti a rimanere al potere mentre l’America ha visto alternarsi una serie di presidenti, da Truman in poi“, ricordò Benjamin Smith, esperto della Corea del Nord dell’Università della Florida. La longevità della dinastia Kim è certo dovuta alla forma dittatoriale dello Stato ma da sola non basta.

Kim Jong-un è un politico abilissimo e spietato. Tutto viene sacrificato sull’altare del potere, come spiega Lankov: anche le follie sanguinarie, come l’omicidio del fratellastro Kim Jong-nam, o i generali uccisi nei modi più assurdi (l’ex ministro della Difesa Hyon Yong-chol venne preso a cannonate) rientrano nel suo piano.

Lankov spiega che il dittatore ha capito cosa deve fare per rimanere al potere e non fare la fine dei “colleghi” dittatori come Saddam Hussein e Muammar Gheddafi, deposti grazie all’intervento USA. La prima cosa è spaventare il vero nemico, cioè gli Stati Uniti, mostrando la potenza nucleare coreana e dichiarandosi sempre pronto ad attaccare, anche per primo.

A livello interno invece, sa che deve evitare un colpo di Stato militare (altro modo con cui i dittatori nel mondo vengono deposti) e le lotte dinastiche: colpendo con violenza i vertici dell’esercito che non gli aggradano e i familiari che potrebbero detronizzarlo, dimostra di essere il solo al comando.

Infine, non deve alimentare voglie di libertà tra la popolazione: affamarlo il giusto, senza aprire alla modernità ma tenendolo in una sorta di “irrazionale regno del terrore“, rende il popolo più gestibile. “Kim Jong Un è determinato a distruggere chiunque potrebbe generare malcontento“, chiarisce Lankov.

In conclusione, chi lo conosce e lo studia definisce Kim Jong-un non un pazzo ma un lucido e spietato stratega, pronto a tutto pur di rimanere al comando.

Donald Trump non è pazzo (per il momento)

[didascalia fornitore=”ansa”]Donald Trump alla Casa Bianca[/didascalia]

Donald Trump non è pazzo ma potrebbe esserlo. Il condizionale è d’obbligo, visto che stiamo comunque parlando del presidente degli Stati Uniti democraticamente eletto: ciò non toglie che politici (democratici e repubblicani), commentatori e psichiatri discutono sulla sua sanità mentale fin dai primi tempi della sua presidenza.

Le prime avvisaglie si sono avute già a febbraio 2017, a un mese dall’insediamento, quando molti democratici al Congresso iniziarono a presentare mozioni e richieste di revisione della Costituzione: il primo a riportarlo fu The Hill, quotidiano voce della politica di Washington, secondo il quale molti deputati si stavano già muovendo per tutelare gli Stati Uniti da una possibile pazzia del presidente.

Nella Costituzione americana viene indicato solo un generico “impedimento ad adempiere alle funzioni e ai doveri inerenti la sua carica” tra i motivi della destituzione, ma non viene specificato come riconoscerlo se si tratta della salute mentale del presidente.

Anche tra i repubblicani sono in molti a definirlo “pazzo”. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono stati i senatori Jack Reed (Rhode Island, democratico) e la collega Susan Collins (Maine, repubblicana): una loro conversazione privata è stata registrata ed è finita sugli schermi della Cnn e su tutti i media USA. “È pazzo”, dice Reed a Collins che risponde: “Sono preoccupata”.

A giugno è stato Michael Steele, ex presidente dei Repubblicani e membro di spicco del partito, a dirlo chiaramente, spiegando al The Hill che nessuno a Washigton vuol più far parte del suo staff “perché è un pazzo”. Il balletto di poltrone degli ultimi mesi alla Casa Bianca sembrerebbe confermarlo, ma non solo.

Il dibattito sulla sanità mentale di Donald Trump era partito da alcuni psichiatri e psicologi che lo avevano definito pazzo. In una lettera aperta al New York Times, 35 professori ed esperti psichiatri dissero che per la “grave instabilità emotiva” non sarebbe del tutto “in grado di servire la Nazione in modo sicuro come presidente”.

Negli USA il dibattito sulla sanità mentale di un presidente è sempre stato molto acceso: da un lato gli americani vogliono essere sicuri di dare il potere a una persona sana e stabile, dall’altra c’è il rischio che medici e psichiatri possano contare più del voto popolare.

È da questa paura che è nata la cosiddetta Goldwater Rule, dal nome del candidato repubblicano Barry Goldwater, sconfitto dal democratico Lyndon B. Johnson. Si tratta di una norma deontologica di cui si è dotata la American Psychiatric Association’s (APA) per cui non si ritiene etico dare un parere professionale sulle figure pubbliche che non sono state esaminate di persona o discutere sulla salute mentale basandosi su dichiarazioni pubbliche.

Anche nel caso di Trump è stata fatta valere la Goldwater Rule, ma ora le cose potrebbero cambiare dopo che il comitato esecutivo dell’American Psychoanalytic Association ha mandato una mail, riportata da Stat News, ai suoi 3.500 membri per invitarli a “non sentirsi legati da una regola di lunga data“, aprendo così alla possibilità di commentare pubblicamente lo stato mentale delle figure pubbliche, presidente compreso. “Crediamo nel valore della conoscenza psicoanalitica nello spiegare il comportamento umano“, ha dichiarato Prudence Gourguechon, psichiatra di Chicago ed ex presidente dell’associazione. “Non vogliamo proibire ai nostri membri di usare la loro conoscenza in modo responsabile“.

In conclusione Donald Trump non è pazzo, almeno per il momento. Se poi la sua instabilità mentale sarà confermata e ritenuta valida dal Congresso, spetterà solo alle istituzioni democratiche americane decidere del suo destino.

Lorena Cacace

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