Per dare una mano all’economia dei paesi sviluppati occorre guardare a un nuovo modello di sviluppo basato sull’economia circolare, in un’ottica di uso e riutilizzo delle materie, anche dei rifiuti, che vanno sempre più considerati e trattati come una risorsa. Lo scopo è abbattere gli sprechi reinventando il mondo dell’industria trasformando i cicli di vita dei prodotti e le infrastrutture organizzative che devono diventare più sostenibili. Si è discusso di questo proprio al Financial Times Circular Economy Summit che si è svolto a Londra.
Indubbiamente occorrono maggiori investimenti nel mondo industriale europeo per trasformare i processi produttivi nell’ottica mostrata dall’economia circolare, dove il rifiuto è risorsa e gli sprechi non esistono. La finanza dunque gioca un ruolo fondamentale in questo campo, come spiegato dal commissario europeo all’Ambiente, Karmenu Vella, in occasione degli incontri di negoziazione tra Consiglio, Parlamento e Commissione europea a proposito del pacchetto europeo sull’economia circolare. In ballo ci sono obiettivi ambiziosi, come arrivare al 70% del riciclo per i rifiuti urbani e all’80% per gli imballaggi entro il 2030, con l’obbligo generalizzato di separazione della frazione organica.
C’è però ancora molto da fare: secondo l’indagine a livello europeo guidata da European Environmental Bureau (EEB), Friends of the Earth Europe and Zero Waste Europe, a cui ha contribuito anche Legambiente, tra i Paesi che si oppongono maggiormente alla proposta ci sono la Danimarca e la Finlandia, l’Ungheria, la Lituania e la Lettonia. Eppure l’economia circolare è un’economia competitiva, a basse emissioni, capace di usare le risorse in modo efficiente per creare lavoro.
Il lavoro fatto prima dalla Commissione europea e poi quello dal Parlamento europeo “spingono ad obiettivi traenti, che sono quelli che occorrono in questo momento, sia per rilanciare l’economia sia per attaccare il problema della decarbonizzazione e dello sviluppo sostenibile“, afferma l’amministratore delegato di Novamont, Catia Bastioli, che precisa cosa vuol dire esattamente adottare il modello dell’economia circolare: “ri-ottimizzare e sviluppare i siti deindustrializzati, utilizzando tecnologie a basso impatto e fortemente innovative che siano collegate con i territori e con la loro cultura, con le materie prime e gli scarti del territorio”. Uno sviluppo, sottolinea Bastioli, che “premi la diversificazione dei territori e punti sulla qualità differenziata e non sulla quantità indifferenziata”. “Abbiamo parlato di ambiente e di sviluppo sostenibile per decenni e poi la realtà è che le tecnologie ci sono, ma non vengono usate nella maniera giusta”, conclude Bastioli.
“Se riuscissimo a portare tutta l’Italia allo stesso livello, cioè a zero rifiuto organico a discarica, potremmo contare su una decarbonizzazione ulteriore di 5 milioni di tonnellate di CO2, che è un valore molto importante”, sottolinea Bastioli. E già in Italia circa 550 Megawatt di energia vengono prodotti da biogas, vengono raccolte 1,7 milioni di tonnellate di compost di elevata qualità e 280mila tonnellate di carbonio di alta qualità vengono reimmesse nel suolo. Al momento, spiega l’amministratore delegato di Novamont si tratta di “un business da 1,7 miliardi di euro, con 9mila posti di lavoro che sono stati creati”.
E l’Italia in questo campo può giocare un ruolo da protagonista con ampie possibilità di sviluppo. Un esempio è quello dei rifiuti organici, la cui raccolta in Italia è più che raddoppiata nel corso di un decennio, a partire dal 2006, passando da 2,6 milioni di tonnellate a più di 6 milioni di tonnellate di raccolta differenziata dell’organico.
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