L’Egitto del beach volley tra sport e religione

Olimpiadi Rio 2016, terzo giorno

Il torneo femminile di beach volley valido per le Olimpiadi di Rio 2016, ha visto affrontarsi ieri sulla spiaggia brasiliana la squadra tedesca – formata da Lara Ludwig e Kira Walkenhorst – e quella egiziana – composta invece dal duo di atlete Nada Meawad e Doaa Elghobashy. Quello che doveva restare un “semplice”match di beach volley è però diventato anche motivo di discussione in rete. Una discussione che non ha riguardato la prestazione sportiva ma l’abbigliamento delle atlete egiziane, che si sono presentate in campo con braccia e gambe coperte, così come richiesto dalla loro fede religiosa.

Dona Elghobashy ha deciso di giocare indossando anche l’hijab mentre la sua compagna di squadra ha scelto di non coprire il capo. La discussione in rete è nata soprattutto tra i sostenitori dell’opinione che le atlete avrebbero dovuto indossare il bikini, così come tutte le altre atlete impegnate in gare di beach volley, e i sostenitori dell’opinione che le Olimpiadi debbano rispettare tutti i propri partecipanti (credo religioso compreso).

E in effetti è a partire dalle Olimpiadi di Londra del 2012 che ai Giochi Olimpici sono stati accettati anche maglie e pantaloni lunghi in alcune discipline che portano a mostrare di più il corpo. Un modo per consentire a tutti di partecipare, rispettando credi religiosi e culture differenti.

Olimpiadi Rio 2016, terzo giorno

In rete, però, si è trovato di tutto: da chi accusava le Olimpiadi di aver mandato in campo una situazione da Medioevo a chi ha definito l’abbigliamento delle ragazze egiziane burqa (sbagliando chiaramente la denominazione, perché di burqa non si tratta affatto). Altri invece, hanno apprezzato il fatto che ai Giochi Olimpici di Rio 2016 si sia mantenuta la linea di rispettare tutte le culture. Una linea che è stata ben chiara sia dalla cerimonia di apertura e dalla notizia che i giochi sarebbero stati aperti anche ai transgender.

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