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E arriva come ogni anno quel periodo magico in cui le temperature si alzano, le serate si allungano e…le scuole chiudono. Come ogni estate infatti, giugno è il mese cruciale per tutti quei genitori che devono affrontare l’annoso problema di dove ‘piazzare’ i figli quando l’offerta didattica dello Stato termina le sue attività.
Per chi, come me, ha una figlia ancora piccola, la speranza porta il nome di Sezione Estiva, ovvero l’assegnazione del posto all’interno del nido per il mese di luglio. In generale questa soluzione fa tirare il sospiro di sollievo ai genitori di bambini fino ai 6 anni circa, dopodiché il problema diventa a dir poco annoso, per non dire disastroso. Soprattutto per le tasche di una famiglia media o in generale per tutti coloro che lavorano e non hanno la possibilità di far compagnia ai propri figli in quel lasso di tempo che va dalla fine dell’anno scolastico all’inizio di quello successivo, ovvero da metà giugno a metà settembre. Tre mesi sono tanti, ma davvero troppi per chi non ha ferie da smaltire ma molti sensi di colpa con cui convivere. Già, perché oltre a barcamenarsi tra varie possibili soluzioni per piazzare i figli in questo periodo di buco scolastico, si deve pur sempre fare i conti con il senso di colpa e con l’impossibilità di passare del tempo con loro, visto che sono liberi.
La soluzione più gettonata, per chi non ha la famiglia di origine nella stessa città in cui risiede, è quella di ‘spedire’ i propri figli dai nonni, con la scusa di fargli fare un po’ di mare, di far respirare loro un po’ l’aria di montagna, di passare del tempo con i cuginetti lontani e chi più ne ha più ne metta. Ma se questa soluzione non è sempre praticabile, allora l’unica percorribile rimane quella del Centro Estivo, una sorta di servizio socio-educativo organizzato con varie attività culturali e ludiche che solitamente ha un costo ben definito, nella maggior parte dei casi alto.
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A Milano i campus estivi hanno dei prezzi variabili che vanno dai 100 ai 200 euro a settimana, a seconda dell’età del bambino, della tipologia di campus (privato o pubblico) e delle attività svolte. Nonostante ciò e il salasso che ne consegue, calcolando tutte le settimane di cui si compongono tre mesi, molti di questi campus estivi prevedono anche pranzo a sacco e orario breve, ovvero uscita entro le 17.30. Quindi oltre a pagare la retta per il centro estivo bisogna anche prendere dei permessi o una baby sitter per le ore extra.
A tal proposito l’indagine sulle famiglie di Federconsumatori ha stimato una spesa media di 624 euro mensili circa a famiglia per ogni bambino o ragazzo in struttura privata e di 304 euro mensili per la frequentazione di strutture pubbliche. Dei costi per nulla popolari, che vedono costretti i genitori anche ad alternarsi tra loro nelle ferie e viaggiare soli con un minore o fare dei turni con altri genitori prendendosi cura anche degli amichetti fino a nuove forme di condivisione di baby sitter, tate o puericultrici in modo da ottimizzare i costi.
Ma se in Europa le scuole propongono un’offerta didattica concorrenziale durante tutto l’anno e pensata ad hoc per il periodo estivo, qui in Italia siamo fermi a un modello scolastico impostato negli anni ’70 e che fa fatica a mantenersi, oltreché a dare stabilità a coloro che la scuola la fanno, ovvero i docenti. Non che appunto la scuola pubblica debba divenire una sorta di ‘parcheggio’ per i propri figli anche nel periodo estivo ma sicuramente lo Stato non può limitare questo servizio a discapito delle famiglie meno agiate che non possono permettersi le spese folli dei centri estivi. L’offerta didattica, seppur in modo rivisitato, dovrebbe essere costante tutto l’anno o quantomeno dovrebbe garantire una soluzione alternativa che non sia unicamente quella di gravare sulle spalle dei genitori italiani.
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