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L’Italia ‘rischia di perdere il treno della biotecnologia’ per mancanza di coordinazione e politiche di sviluppo

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L’Italia “rischia di perdere il treno della biotecnologia” e delle scienze della vita a causa del suo “problema serissimo di programmazione” e di frammentazione delle strategie, che affossano lo sviluppo. Lo ha detto Riccardo Palmisano, presidente di Assobiotec – l’associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che rappresenta circa 130 imprese e parchi tecnologici e scientifici attivi in Italia – nel suo intervento al workshop Trasferimento tecnologico nelle Life Sciences, che si è tenuto in OpenZone, campus dedicato alle Scienze della Vita.

Il campus, che si trova alle porte di Milano è stato creato da Zambon con la missione di creare un ecosistema imprenditoriale, dove la scienza incontra l’industria, dove le competenze scientifiche si uniscono a quelle imprenditoriali e dove la ricerca si trasforma in impresa, diventando realtà possibile per i pazienti.

L’esperto ha riassunto la situazione in cui versa l’Italia. Anche se ultimamente diverse cose sono cambiate, tutto avviene “troppo lentamente”.

Palmisano, parlando alla seconda edizione di TT2VALUE – Trasferimento Tecnologico nelle scienze della Vita – organizzato da Italian Angels for Biotech e OpenZone, in collaborazione con Assobiotec-Federchimica per fare il punto sulla situazione nazionale del trasferimento tecnologico nell’ambito delle scienze della vita, ha evidenziato: “Sono state prese ottime iniziative, soprattutto dagli ultimi due governi, e sono state sfruttate potenzialità dateci anche dall’Europa, ma il tutto non è stato coordinato. Non coordinato fra i ministeri competenti per il nostro settore, che sono Miur, il Mise, il Mef e il Ministero della Salute”. Ed è mancato anche il coordinamento fra il centro e le Regioni.

Per non disperdere le energie, ha continuato il presidente di Assobiotec, serve “un’agenzia che definisca una strategia di lungo termine, con una visione unica, centralizzata, che coordini le diverse competenze”. Un centro unico che “dica quali sono le regole del gioco dal punto di vista fiscale, dei tempi delle autorizzazioni e dei tempi per le sperimentazioni sia precliniche che cliniche”. Per Palmisano “se questo Paese non decide di investire seriamente e molto nella ricerca e nell’innovazione delle scienze della vita non andrà da nessuna parte”.

Secondo i dati presentati da Luca Benatti, presidente di Italian Angels for Biotech, la Lombardia potrebbe essere il territorio ideale per un progetto pilota di trasferimento tecnologico, una sorta di agenzia unica per le scienze della vita con la partecipazione di tutti i soggetti interessati. A Milano, infatti, ci sono 3mila imprese multinazionali, il 34% di quelle presenti in Italia, ed è qui che nascono il 23% delle startup innovative, che fanno della città la terza in Europa per quanto riguarda le imprese innovative. In Lombardia sono inoltre presenti 14 università, per il 26% del valore del sistema culturale nazionale, 19 Irccs e il 24,5% degli incubatori e delle strutture dell’ecosistema innovativo.

Anche per Benatti “esiste una relazione positiva diretta tra investimenti in innovazione e ricerca e crescita di un Paese”. Un centro unico di coordinamento, a livello della Presidenza del Consiglio, per sostenere lo sviluppo del settore delle scienze della vita in Italia è auspicabile. Il presidente di Iab ha sottolineato che la politica negli ultimi due anni “ha fatto delle cose importanti”, come il credito d’imposta e gli incentivi fiscali per individui che investono in iniziative imprenditoriali. “Credo però che debba fare di più”, migliorando il coordinamento fra i vari Ministeri.

E secondo i dati illustrati nel corso del workshop da Elena Zambon, presidente del gruppo farmaceutico omonimo, la filiera delle scienze della vita rappresenta l’11% del Prodotto interno lordo della Lombardia e il 10% del Pil nazionale. In regione sono impiegati 339mila addetti (20% del totale nazionale). Inoltre 700 milioni di euro sono stati investiti negli ultimi tre anni nella ricerca chimica, con 6mila ricercatori attivi nelle cliniche universitarie e nei centri di ricerca.

Ovviamente per spingere le imprese italiane c’è bisogno di alzare il livello di managerializzazione. C’è “bisogno di manager competenti, preparati su materie scientifiche. Ne beneficeranno sia le imprese che i pazienti”, ha spiegato ancora Elena Zambon. Gli imprenditori del settore che non hanno una forte presenza internazionale “fanno fatica ad attrarre manager e profili di grande esperienza e internazionali”, ha sottolineato. La ricerca “non ha confini e una volta che hai in mano delle buone opportunità di prodotti e di molecole nuove, la cosa importante è trovare il mondo come mercato a cui accedere”. Perché, come ha evidenziato nel suo intervento Alessandro Sannino, co-fondatore di Gelesis e di Materia, “il risultato della ricerca è la soluzione a un problema, ma è ben lontano dall’essere un prodotto pronto per il mercato”.

Per questo, ha aggiunto Zambon, soprattutto nel settore delle life sciences, “c’è la necessità di competenze specifiche, di sistemi anche regolatori molto diversi, soprattutto in Europa, che chiedono competenze ed esperienze per capire come posizionare un prodotto e come incontrare un’autorizzazione che consenta di portare i nostri prodotti in giro per il mondo”.

In collaborazione con AdnKronos

Kati Irrente

Giornalista per vocazione, scrivo per il web dal 2008. Mi occupo di cronaca italiana ed estera, politica e costume. Naturopata appassionata del vivere green e della buona cucina, divido il tempo libero tra musica, cinema e fumetti d'autore.

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