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La censura ai tempi di Facebook

“Stuprare a sangue le troie che ti mettono in friendzone” è una delle tante pagine su Facebook in cui mi sono imbattuta qualche giorno fa. Mi sembrava chiaramente che, incitando alla violenza e ad atti criminali, violasse gli standard di Facebook e dunque meritasse di essere segnalata. Così ho invitato amici e contatti a fare lo stesso, ma la nostra segnalazione è andata a vuoto perché, a quanto pare, non viola alcuno standard. Eppure io me li sono letti bene questi standard, perché lo scorso anno la pagina ufficiale di Femen Italia e il mio account sono stati bloccati a causa delle ripetute segnalazioni di un’immagine che riportava un dipinto di Frida Khalo.

Insomma Facebook ritiene che lo standard sia violato per “volgarità” quando qualcuno si irrita a vedere immagini di nudo, comprensive di dipinti, statue ed in generale opere d’arte, nonché madri che allattano. Perciò se volete condividere l’Olympia di Manet oppure una copia del Doriforo di Policleto, state attenti perché qualcuno potrebbe segnalarvela e bloccarvi temporaneamente l’account. Tuttavia, se invece aprite una pagina incitando a bruciare i gatti, picchiare i rom o stuprare a sangue le ragazze che vi dicono legittimamente di no ma allegate immagini di cuccioli o di paesaggi, la vostra pagina supera i controlli e potete continuare a delinquere sulla rete con tranquillità.
L’arte è ammessa con moderazione, nudi neanche a parlarne, mentre per le strade e nelle edicole spopolano immagini squallide, si fotografano ministri che in macchina mangiano un gelato alludendo alle possibili capacità erotiche che un rappresentate dello Stato Italiano avrebbe in base a quanto e come lo mangia, avendo perfino la pretesa di difenderlo come giornalismo.
Ma è notizia d’oggi che il mio account personale è stato nuovamente bloccato perché, in quanto amministratrice della pagina Facebook di Femen Italia, ho pubblicato un articolo che viola i fantomatici e incomprensibili standard. Quale sarebbe questo articolo? Quello sulle Sentinelle in piedi che ho scritto proprio per NanoPress.
Quanta ipocrisia c’è in tutto questo?
La nostra battaglia, la battaglia di Femen, continuerà in tutto il mondo. Siamo femministe, non esibizioniste e continueremo a ripetervelo e a scrivercelo addosso, perché l’indignazione non è per il nostro seno: di seni e terga nude ne vedete a bizzeffe sui cartelloni pubblicitari, in tv o sui giornali. L’indignazione è per quello che diciamo, perché sono richieste giuste e valide, perché non si vuole che una donna pensi, abbia coscienza di sé o possa chiedere di avere pari diritti in una società permeata dal maschilismo fino alle fondamenta.
Le nostre non sono tette, ma un messaggio politico.

Di censura parliamo anche qui: Censura e altri rimedi su Femenitalia.blogspot.it

Marianna Piras

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