Intervistato dalla stampa estera, Salvini vira bruscamente e contesta la scelta del leader russo Putin di invadere l’Ucraina, atto che avrebbe portato all’abiura delle posizioni filo-putiniane.
Salvini afferma di aver cambiato idea su Putin nel corso degli ultimi mesi, come avrebbero fatto molti altri esponenti politici dopo l’avvio dell’invasione russa di Kiev, anche se è la prima volta, dopo mesi di guerra, che il Capitano prende una posizione più netta sul leader del Cremlino.
La guerra come potente spartiacque, è così da sempre: i conflitti armati cambiano il contesto di vita, i rapporti internazionali, il valore di alcune idee su altre, le posizioni dei grandi della terra come delle comunità umane; anche Salvini non sembra esserne immune, nonostante finora avesse mostrato una resilienza non indifferente verso le convinzioni sempre portate avanti a livello politico.
Di fatto finora Salvini si era mostrato alquanto riluttante a nominare Putin, parlando spesso genericamente di guerra, come concetto a se stante, quasi un’idea platonica esistente di per se stessa, piuttosto che di un avvenimento della storia umana dotato quindi di un contesto, di attori che muovono gli accadimenti, di responsabilità e conseguenze.
Da tale impostazione non poteva che discendere un generico no alla guerra, perché brutta, perché causa di morte, come se fosse necessario disquisire sul valore morale della guerra (si presume che un ardito spirito guerrafondaio sia ormai un lascito residuale in alcune nicchie sociali) invece di individuare delle strategie operative per far terminare lo scempio bellico, possibilmente in un modo che eviti la riapertura di scontri successivi.
Ora invece la svolta, almeno a parole, sul tema: mutamento che, come per Giorgia Meloni, avviene prima di tutto sulla stampa estera, segnale che forse il messaggio è rivolto più a rassicurare politica e finanza internazionale piuttosto che produrre dei significativi cambi di azione politica, cosa che invece riguarderebbe più concretamente gli elettori italiani.
Insomma un doppio registro del Centrodestra, prima di Meloni e poi di Salvini, che lascia interdetto il cittadino che ascolta delle cose, quando sente il leader di una formazione parlare verso l’estero, e tutt’altro, quando lo sente disquisire indirizzato alla politica interna.
Tant’è che se ora si abiura Putin perché responsabile di scatenare una guerra nel 2022, al contempo si rinnega il ruolo delle sanzioni sull’economia russa. Inevitabilmente le sanzioni fanno male all’economia europea, perché la dipendenza energetica dalla Russia è molto forte e il benessere economico è l’obiettivo su cui si regge la legittimità delle democrazie liberal-capitaliste europee, eppure parimenti queste erodono le capacità di spesa del regime moscovita, inducendolo a ricatti e distorsioni sul mercato energetico, pur di contenere gli effetti dilapidatori degli embarghi.
Per ora su quest’ultimo punto il segretario leghista assume una posizione economicista, di moderazione delle sanzioni, che mal si accompagna alla prospettiva fortemente etica, quasi ecumenica, assunta in politica internazionale, con un no alla violenza e alla guerra che però non interviene per effettivamente porre fine alle atrocità.
Purtroppo le ambiguità di Salvini sono ancora molte e probabilmente non sarà sufficiente una dichiarazione alla stampa estera per credere nella “conversione sulla via di Mosca”.
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