Al termine del primo giorno di incontri tra leader europei nell’ambito della due giornate (23-24 giugno) di seduta del Consiglio Europeo, si procede per concretizzare le adesioni allo spazio comunitario UE di vari Paesi dell’est Europa.
Il Consiglio Europeo, dando seguito alle pressioni comunitarie e nazionali, notifica ufficialmente lo status di candidati ad entrare in UE ad Ucraina e Moldavia.
Trapelano gioia e soddisfazione tra le istituzioni europee per l’ufficializzazione della condizione di candidato all’ingresso in UE di Ucraina e Moldavia. Questi stati (il primo coinvolto nel conflitto bellico con Mosca, il secondo intimorito dal poter finire nella stessa situazione) palesano così una nuova corsa all’Ovest: dopo la famigerata e sanguinosa impresa statunitense di conquista dei territori posti tra le 13 colonie atlantiche originarie e l’oceano Pacifico, si assiste ad un secondo movimento verso occidente, stavolta verso la sedicente “terra dei diritti”, l’Europa, attraverso un percorso diplomatico e condiviso, anziché bellico e monodirezionale.
La prima a congratularsi per il provvedimento unanime è Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo, organo quest’ultimo che per primo si è schierato in favore della nazione aggredita per aver propugnato i valori dell’UE.
Sottolineano invece la caratura geopolitica della scelta Enrico Letta ed Emmanuel Macron. Il segretario del Partito Democratico plaude al messaggio internazionale mandato da Bruxelles: primo ricevente ne è naturalmente Putin e le sue mire espansive sull’est Europa.
Il presidente francese invece, ricordando i tempi ancora lunghi perché la candidatura si tramuti in vera e propria adesione, ripropone con forza la sua idea di “Comunità Politica Europea”: una sorta di via preliminare ed intermedia tra un pieno ingresso quale stato membro UE e la totale estraneità al convitto comunitario. Ciò genererebbe, secondo Macron, una sfera di influenza europea in cui attrarre e tutelare gli stati che vogliono avviare il percorso, assai più lungo e farraginoso, per diventare a tutti gli effetti dell’Unione.
Tuttavia altre nazioni mettono in guardia le novelle debuttanti: i paesi balcanici. Questi ridimensionano l’entusiasmo del Consiglio ricordando come lo status appena acquisito non dia garanzie sul se e quando si potrà sedere sui banchi delle aule di Bruxelles.
Difatti Moldavia ed Ucraina sono state “favorite” dal bellicismo di Mosca nel loro rapido riconoscimento di candidate; al contrario gli altri 5 paesi nella loro medesima condizione attendono ormai da anni segnali dall’UE (che a sua volta ne attende, sul piano delle riforme, da questi stati). Albania e Macedonia del Nord, per fare un esempio, sono in un’impasse che perdura rispettivamente dal 2014 e dal 2005. A pesare sulle sorti dei due stati presi a modello vi sarebbe il veto bulgaro, che ricatta in tal maniera le due nazioni reclamando in qualche modo dei diritti su Skopje e Tirana per via della presenza di ceppi etno-linguistici bulgari.
Serpeggiano quindi dubbi tra i Balcani, che temono che le priorità in agenda facciano scivolare ancora più in là la loro piena adesione; nondimeno malumori si avvertono anche in seno alle istituzioni europee, soprattutto per l’unanimità richiesta nelle votazioni che dota ogni stato di un potere in grado di paralizzare ogni iniziativa comunitaria. La pensa così anche lo stesso Alto Rappresentante per gli Affari Esteri Josep Borrell che tradisce delusione proprio per un percorso di integrazione e diplomatico troppo volatile e volubile.
Infine il Consiglio si dimostra ben disposto anche alle domande presentate da Georgia e Bosnia-Erzegovina, le quali tuttavia non possederebbero ancora i requisiti minimi richiesti per ottenere per lo meno il preliminare status di candidato. Tuttavia l’ottemperamento di tali parametri dovrebbe portare ad un rapido riconoscimento, sottolinea Bruxelles.
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