Che fine hanno fatto i cantanti lirici italiani? Dopo aver sfornato Tito Schipa, Enrico Caruso, Alessandro Bonci, Franco Corelli e Giacomo Lauri Volpi, ma anche Luciano Pavarotti e Andrea Bocelli, tanto per citare dei nomi più ‘pop’, la lirica del Belpaese – dove è nata e si è sviluppata, tant’è che molti dei termini usati sono italiani – è in sofferenza, se non in vera e propria crisi. Gli italiani che hanno aderito al programma Jette Parker Young Artist, creato dalla Royal Opera House – uno dei più importanti teatri d’opera al mondo che ha sviluppato questo corso per sostenere i giovani talenti – sono infatti neanche nella top five, dominata da America, Regno Unito, Corea del Sud, Russia e Australia. E l’Italia? Solo 18 studenti… pochi ma buoni? No.
La lirica italiana è in sofferenza, cosa rimarrà dei grandi cantanti lirici italiani? A lanciare l’allarme è l’Economist, secondo cui il Belpaese sta perdendo la sua tradizione: come detto, al programma programma Jette Parker Young Artist creato dalla Royal Opera House hanno fatto domanda solo 18 italiani su 440 di altre nazionalità, e nessuno di loro ha vinto un posto per questo corso per giovani talenti. Non va meglio alla gara Cardiff Singer of the World, dove c’erano un cantante dal Congo e uno dalla Corea del Sud ma nessun italiano, mentre alla Operalia Competition – una delle ‘gare’ più importanti del settore – c’erano sudcoreani e sudafricani, americani e neozelandesi… ma nessun italiano.
La colpa, pare, è della ‘concorrenza agguerrita’ e del nostro riposare sugli allori: dopo aver sfornato talenti del calibro di Renata Tebaldi, Mirella Freni, Renata Scotto e Carlo Bergonzi, per non parlare dei succitati Pavarotti e Bocelli (che però, secondo l’Economist, è più noto per la sua cecità che per la qualità della sua voce), pare che l’Italia si sia adagiata sugli allori, a scapito di paesi emergenti: ‘Il mercato della lirica è diventato competivo per i cantanti e laddove molti si risparmiano, quelli dei paesi dell’Est Europa danno il meglio di sé perché considerano un onore essere provinati‘, spiega Aidan Lang, direttore generale della Seattle Opera.
E gli italiani? Secondo il tenore peruviano oggi manager Ernesto Palacio, in Italia ci sono ancora tante belle voci, ma gli italiani, pensando che basti questo, non si impegnano abbastanza, ad esempio sul fronte della recitazione, tant’è che lo stesso Pavarotti oggi potrebbe non farcela. Per la cronaca, il Lucianone odierno è oggi un tedesco – Jonas Kaufmann – mentre le donne create da Giacomo Puccini sono appannaggio del soprano lettone Kristīne Opolais; nei teatri di mezza Europa, più che gli italiani, ci sono sempre più sudafricani, cinesi e coreani.
L’Italia tira avanti grazie a Cecilia Bartoli, Barbara Frittoli e Marcello Giordani, ma la colpa è anche di una scarsa programmazione: le scuole di canto sono poche e hanno sempre meno studenti (a Palermo ci sono 71 studenti), e se l’Opera di Roma ha lanciato un programma per giovani artisti (228 candidati per sette posti), tra i grandi teatri nostrani solo La Scala di Milano ha un programma per ‘allenare’ giovani cantanti, al contrario di Europa e Stati Uniti dove ogni teatro ha anche un’accademia. Riuscirà l’Italia a dimostrare di essere (ancora) creativa? La sfida è aperta…
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