Martina Scavelli, arbitra di pallavolo, operante da qualche tempo in Serie B, ha detto addio al suo lavoro per via del suo peso. Ebbene sì, le rigide regole imposte dalla FIPAV (Federazione Italiana Pallavolo) parlano chiaro: gli arbitri devono rientrare in determinati canoni, anche fisici. Se li superano, vengono penalizzati. E allora Martina, per non retrocedere e tornare indietro al campionato regionale, ha dovuto dire addio al suo ruolo. Ma davvero possiamo accettare che questo sia avvenuto?
Si chiama Martina Scavelli, ha 34 anni, è di Catanzaro e si è sentita giudicare per anni per via del suo peso. Negli ultimi 15 anni, da quando cioè è diventata arbitra della Federazione Italiana Pallavolo, è dovuta sottostare a controlli e misurazioni che attestassero che il suo peso fosse idoneo al suo ruolo. Sì, proprio così e sembra strano se pensiamo che gli arbitri di pallavolo non devono correre per tutto il campo come quelli di calcio. Così alla fine Martina per non fare passi indietro nel suo lavoro, ne ha dovuto fare uno lunghissimo nella vita: ha detto addio al suo ruolo, denunciando il tutto su Facebook.
Un’altra donna (l’ennesima) ha dovuto prendere decisioni drastiche per via del suo peso. Sì, avete letto bene, del suo peso. Questa volta la protagonista di questa (tristissima) vicenda si chiama Martina Scavelli, ha 34 anni ed è originaria di Catanzaro. Di professione fa – anzi, faceva dovremmo dire – l’arbitra di volley. Ha iniziato quando aveva solo 19 anni, quindi a conti fatti sono circa 15 anni che quello è il suo lavoro, anzi la sua vita. Ogni fine settimana è a bordo campo, guadagna dai 60 agli 80 euro (questo è il valore del gettone di presenza) ed è contenta, perché quella è la sua passione, quindi continua a farlo volentieri. Ad un tratto, però, ha deciso di smettere. All’improvviso, sì. Perché in questo racconto abbiamo saltato un pezzo, uno fondamentale, che parla di umiliazioni, di pressioni psicologiche, di pesate.
Proprio adesso che, dopo la vicenda delle atlete di ginnastica ritmica, il tema del fisico nello sport è più caldo che mai (ne abbiamo parlato in diverse occasioni, uno degli ultimi aggiornamenti è questo), arriva un’altra donna, in un’altra disciplina, che ricopre un altro ruolo, a denunciare una situazione diversa sì, ma non troppo.
Sì, perché mentre le farfalle per via del loro peso non venivano escluse dallo sport, ma venivano letteralmente massacrate, offese, subissate di improperi, la Scavelli per via del suo peso ha deciso – oppure dovremmo dire, si è sentita costretta – di lasciare il suo ruolo di arbitra.
Era dal 2017 che dirigeva le gare in serie B della FIPAV (Federazione Italiana Pallavolo). Ma da adesso in poi non lo farà più. Per via del suo peso, come abbiamo anticipato.
Martina Scavelli ha lasciato l’arbitraggio per via del suo peso. Lo ha comunicato lei stessa con un post su Facebook che, facendo un riferimento a Paola Enogu, che abbiamo visto da poco sul palco dell’Ariston, inizia così: “Egonu, tu sei nera, io sono grassa. Per questo motivo stamattina ho comunicato le dimissioni dal ruolo di arbitro di serie B alla FIPAV (Federazione Italiana Pallavolo). Non sopporto più di essere misurata e pesata come si fa con le vacche. Lo sport dovrebbe unire, anziché emarginare. E io non voglio più essere messa all’angolo per qualche centimetro o qualche chilo in più”.
Queste parole arrivano dopo l’ultima pesata, che parlava chiaro: i valori di BMI (l’indice di massa corporea) e di circonferenza addominale erano leggermente più alti della media. Leggermente, eppure questo le è bastato per ricevere “una penalizzazione di 3 punti nell’ambito del punteggio Dirigenti di Settore e l’esonero dall’impiego fino al raggiungimento dei valori previsti”. Cosa significa? Che alla fine della stagione – cioè tra pochissimi mesi – dovrebbe passare dalla serie B al campionato regionale, che equivale a dire che dovrebbe compiere un enorme passo indietro. Anzi, dovremmo dire “avrebbe dovuto”, perché di fatto non lo farà.
Il passo indietro la Scavelli alla fine lo ha fatto, non verso una penalizzazione, ma verso l’addio definitivo al suo ruolo. La colpa è dei suoi “parametri fuori norma”. Fuori norma di poco, sia chiaro, un poco che non scalfisce la qualità del suo servizio, come ci ha tenuto a specificare nel suo lungo post su Facebook, in cui poi aggiunge “come se tre dita in più sul mio girovita potessero mettere a rischio una partita di pallavolo”.
Per chi non lo sapesse, tra l’altro, la pallavolo non è come il calcio: l’arbitro in questo sport non deve correre avanti e indietro per il campo, quindi tecnicamente non c’è alcun nesso tra le sua performance e la sua forma fisica. La Scavelli, sia chiaro, è più che consapevole che le regole sono regole, le ha sempre accettate e rispettate, ma questo “non vuol dire che siano sacre e immutabili”.
Fino ad ora – dal lontano 2007, quando entrò a far parte della Federazione – ha sempre cercato di essere ligia al dovere, di seguire alla lettera tutte le regole imposte, conscia di quali fossero i regolamenti legati al suo lavoro, anche in merito ai parametri antropometrici. Come ha spiegato l’arbitra in un’intervista rilasciata a La Stampa, si tratta di “norme federali basate su indicazioni sanitarie. Bisogna rientrare in determinati parametri antropometrici. Come il BMI e la circonferenza addominale”. E lei quindi ha sempre cercato di seguire un regime alimentare specifico per poter rientrare in questi parametri. Quando non è riuscita a farlo, è arrivata addirittura ad autodenunciarsi e ad autosospendersi.
Il problema, però, è questo: “È paradossale che un giocatore possa essere obeso e che gli allenatori o i dirigenti non debbano rispettare tali parametri. Perché?”. Purtroppo a questa domanda solo la Federazione potrebbe avere la risposta e lei, da sola, può fare ben poco per cambiare le cose. Ecco perché oggi ha scelto l’unica strada che conosce per non farsi quantomeno calpestare da un sistema che pone al centro dell’attenzione, ancora una volta, il fisico e non le qualità, il peso corporeo e non quello morale, un corpo “sostanzioso” e non la sostanza vera.
E così Martina ha deciso di dire basta, “basta a delle regole che non sempre vengono fatte valere erga omnes. Basta alle vedute ristrette. Basta a un sistema che non si interroga se qui chili in più nascano da problemi di salute o periodi particolari della propria vita. Basta a chi si basa sui numeri e sotterra le emozioni”. Lo ha fatto perché “la salute mentale, l’integrità di un individuo, la passione e il sacrificio di un essere umano valgono molto di più di qualche centimetro di troppo”. Come darle torto: viviamo in un’epoca in cui l’apparenza ha superato la sostanza e a quanto pare questo vale anche nello sport, esattamente come nella vita.
C’è poi un altro dato agghiacciante che ha rivelato nella succitata intervista e cioè che, anche questa volta, a essere penalizzate indovinate chi sono? Le donne. Loro sono prese di mira per il loro aspetto fisico molto più dei loro colleghi uomini. Anche in questo campo. Non molto tempo fa ci eravamo occupati di una situazione emersa grazie all’Economist, che aveva sottolineato come le donne magre fossero pagate più di quelle in sovrappeso e aveva cercato di capire quali fossero i Paesi in cui il fenomeno era più diffuso (spoiler: quelli industrializzati) e quali potessero essere le cause, soprattutto alla luce del fatto che tutto questo nell’emisfero maschile non accade e se accade è totalmente irrilevante, per la sua scarsa portata (se volete approfondire, cliccate qui). Adesso sappiamo, grazie all’arbitra, che questo fenomeno riguarda anche lo sport. Forse avremmo preferito non saperlo, ma è la realtà e in quanto tale va sempre discussa.
Possiamo prendere in esame le parole di Martina: “Per i big maschi di serie A si chiude un occhio, per noi invece li si tengono entrambi aperti”. Ma sia chiaro: non è solo il sistema che giudica e (più o meno implicitamente) critica e punisce le donne per il loro corpo, ma è tutta la popolazione. Anche il pubblico dà il suo (pessimo) apporto durante le partite: “Se commetto uno sbaglio perché devo sentirmi urlare che sono cicciona?”. Bella domanda, soprattutto perché chissà se, quanti e quali colleghi uomini si sono sentiti chiamare con lo stesso appellativo.
Riportiamo la chiusura del post di Martina Scavelli, scritto proprio nel giorno di San Valentino, che accende un barlume di speranza per tutti: “Da oggi inizia la mia battaglia per superare la discriminazione imposta da certe norme. Aiutatemi a fare la sentire la mia voce perché non è solo la mia voce. Sono grassa, sì. Ma anche di contenuti, voglia di lottare e speranza. Buona festa degli innamorati. Io oggi ho scelto di amarmi un po’ di più”.
Una domanda che però purtroppo sorge spontanea è: dobbiamo cambiare il mondo della ginnastica ritmica, perché si base su regole radicate ormai da tempo immemore troppo rigide, che tendono a umiliare le atlete (ma anche quelle di altri sport, a quanto pare, stando alle millemila segnalazioni pervenute da tutta Italia da atlete di varie discipline, prima tra tutte la ginnastica artistica, che lamentavano però lo stesso trattamento), dobbiamo cambiare il mondo dell’arbitraggio nella pallavolo, perché si basa su norme assurde, senza senso e senza fondamento, ma non c’è forse a questo punto un problema di fondo? E questo problema non è un’eccessiva attenzione verso il corpo della donna, retaggio di un passato apparentemente troppo lontano ma nella pratica abbastanza vicino, in cui era poco più che un oggetto, che si riversa praticamente ormai in tutti i settori lavorativi (compreso il mondo dello spettacolo), nello sport e nella vita in generale? Chiediamo per un amico ovviamente.
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