La Disney si oppone alla legge “Don’t say gay” e DeSantis pone fine al suo status speciale
Ron DeSantis, il governatore della Florida, ha firmato un disegno di legge che gli conferisce il controllo del distretto autonomo di Walt Disney World, che quindi di fatto perderà i suoi privilegi. Era dal 1967 che era in piedi il cosiddetto Reedy Creek Improvement District, il distretto speciale, nato in seguito a un accordo tra lo Stato e la società. Ecco cos’è accaduto esattamente.
Ron DeSantis, il governatore della Florida, ha appena firmato un disegno di legge con cu priverà la Disney dei suoi poteri, che di fatto l’avevano resa autonoma in tutti i sensi. Il motivi è la sua opposizione alla legge statale “Don’t Say Gay”.
Ron DeSantis contro la Disney
Ron DeSantis, il governatore della Florida, ha firmato un disegno di legge che gli conferisce il controllo del distretto autonomo di Walt Disney, che quindi di fatto perderà i suoi privilegi. La società, secondo lui, merita una “punizione”. Come mai? Si è opposta alla legge statale “Don’t Say Gay” che, tra le altre cose, limita le discussioni sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere nelle scuole, impedendole completamente in tutte quelle che vanno dalla materna fino alla terza elementare e richiedendo che invece nelle successive possa avvenire, lasciando ai genitori del ragazzi il potere di fare causa ai distretti scolastici nel caso in cui dovessero violare la norma.
Come ha affermato DeSantis durante un incontro con stampa a Lake Buena Vista (vicino Orlando):“Il regno aziendale finalmente giunge al termine. (…) C’è un nuovo sceriffo in città e la responsabilità sarà all’ordine del giorno”. In effetti possiamo parlare proprio di regno, nel vero senso della parola: basti pensare che la Disney è e resta una delle aziende private che offrono più lavoro in tutto lo Stato: basti pensare che nel 2021 contava circa 60mila dipendenti.
Il repubblicano comunque, grazie al disegno di legge, potrà anche nominare un consiglio formato da cinque membri che dovranno sovrintendere ai servizi governativi che la società fornisce nei suoi vasti parchi a tema in Florida e che potrà anche raccogliere entrate per pagare il debito in essere e coprire il costo dei servizi (capirete tra poco perché).
Tra questi dovrebbero esserci l’avvocato di Tampa Martin Garcia – che dovrebbe diventare a breve il presidente del nuovo consiglio di amministrazione del distretto – Bridget Ziegler, (membro del consiglio scolastico conservatore e moglie del presidente del partito repubblicano della Florida, Christian Ziegler), Brian Aungst Jr (avvocato e figlio di un ex sindaco repubblicano di Clearwater), Mike Sasso, un altro avvocato e Ron Peri, capo del ministero del Gathering USA.
Come ha affermato, infatti, sempre lo stesso DeSantis, parlando della Disney ovviamente:“Dagli anni ’60, hanno goduto di privilegi diversi da qualsiasi azienda o individuo nello stato della Florida abbia mai goduto. (…) Avevano esenzioni dalle leggi che tutti gli altri dovevano seguire. Sono stati in grado di ottenere enormi benefici senza pagare la loro giusta quota di tasse. (…) Come si fa a concedere a un parco a tema il proprio autogoverno e poi a trattare tutti gli altri parchi a tema in modo diverso? Crediamo che non sia stata una buona politica”.
Per adesso l’azienda non ha risposto apertamente, quindi non possiamo sapere esattamente cosa pensa e come si vorrà difendere. Ma in realtà sappiamo che questa diatriba ha avuto inizio già lo scorso anno, non è un tema del tutto nuovo.
I precedenti
Nel 2022 i repubblicani già avevano preso di mira la Disney dopo che si era scontrata con DeSantis (considerato un candidato alla presidenza nel 2024) sulla succitata legge “Don’t say gay”. A marzo dello scorso anno, per essere precisi,l’allora amministratore delegato della Disney, Bob Chapek, aveva espresso pubblicamente il suo disappunto per l’approvazione della legge e aveva ammesso di aver chiamato proprio il governatore per esprimere la sua preoccupazione al riguardo.
Già allora DeSantis si era mosso rapidamente per penalizzare la società, ordinando ai legislatori di sciogliere il distretto autonomo della Disney durante una sessione legislativa speciale e dando inizio a un processo di ristrutturazione attentamente monitorato. Quello di cui Walt Disney godeva era essenzialmente uno status speciale di “autogoverno”, che gli consentiva anche di imporre tasse, costruire strade e controllare i servizi pubblici sui terreni dei suoi parchi. Era come se le sue fossero città satellite con una propria autonomia totale.
Ma quello che al governatore e agli altri repubblicani proprio non era piaciuto – e ancora adesso chiaramente non apprezzano – è la non inclusione dimostrata dalla società, che a detta loro potrebbe proporre argomenti inappropriati nell’intrattenimento per bambini (cosa di cui si occupa da sempre).
Durante la cerimonia indetta per la firma del disegno di legge con cui la Disney non avrà più i suoi “poteri”, anche alcuni civili si sono schierati contro la società: ad esempio, la madre di un alunno l’ha criticata duramente perché “ha scelto la parte sbagliata dell’argomentazione morale”, mentre un ex dipendente ha contestato le politiche dell’azienda in materia di vaccinazioni (anche il modo in cui ha trattato il Covid è stato infatti preso di mira).
Come riporta la BBC, a essere stato cruciale per l’azienda e ad averle reso possibile costruire il suo impero e, soprattutto, il suo parco a Orlando – che risale già agli anni ’60 – è stato il cosiddetto Reedy Creek Improvement District, il distretto speciale appunto, nato nell’ormai lontanissimo ’67 in seguito a un accordo tra lo Stato e la Walt Disney Company. Di fatto il governo “autocratico” della società le potrebbe permettere anche di costruire infrastrutture (nei suoi piani vi era creare una vera e propria città futuristica), ma anche di offrire servizi pubblici e chi più ne ha più ne metta.
Quello che è successo dopo questa faida era prevedibile: la reputazione di DeSantis – visto oggi come una sorta di “guerriero della cultura” – si è rafforzata, rendendolo ancora più amato, alla luce soprattutto della sua capacità di combattere contro ogni nemico politico e di essere in grado di esercitare i suoi poteri per raggiungere obiettivi politici importanti e concreti.
Questa, secondo molti, potrebbe essere una strategia che gli potrebbe permettere tra poco più di un anno di avanzare verso le Casa Bianca. Ma se sarà davvero così oppure no, lo scopriremo solo vivendo.
Anna Gaia Cavallo
Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura.
A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista.
Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.