L’ex presidente PD Rosy Bindi svolge una lucida ed impietosa analisi del centrosinistra nel post-voto arrivando a prefigurare la necessità di uno scioglimento della formazione nata nel 2007 con Walter Veltroni.
Bindi ha ricoperto varie cariche nel mondo Dem fin praticamente dalle sue origini, ma ora percepisce una distanza tra partito e popolo di sinistra che sembra troppo ampia per poter essere colmata dalla solita ritualità congressuale interna.
La sconfitta del Partito Democratico nelle urne del 25 settembre, un 19% ben al di sotto delle aspettative, affonda le sue cause a ben prima della campagna elettorale agostana secondo Rosy Bindi.
Il fondamentale errore della sinistra, per l’ex presidente PD, sta nel non essere riuscita ad articolare in modo coerente i valori tipici del campo progressista con le istanze tipiche di un partito che si candida a governare.
Il PD avrebbe interpretato una cultura di governo spesso in contrasto con quanto ritenuto necessario dalla propria base elettivo-ideologica, spesso confondendo una subliminale brama di potere per un innato spirito di responsabilità.
Insomma un conservativo immobilismo interno spacciato per difesa di diritti e valori sociali in pericoli, discorsi volti forse a nascondere una malcelata volontà di mantenere lo status quo. Questo anche in contrasto con gli stessi elettori di sinistra, quando da questi si è lavata a gran voce la richiesta di un radicale cambio di paradigma.
Ed ecco la fatale conseguenza a cui giunge Rosy Bindi: scioglimento. Lo scioglimento del Partito Democratico quale unica strada possibile per ricostruire davvero un serio, condiviso e davvero rappresentativo progetto di sinistra per il Paese.
Il PD secondo Bindi deve mettersi a disposizione delle comunità, coinvolgendo le realtà sociali e associazionistiche progressiste che innervano la società, interpretando e dando rappresentanza politica a tali gruppi.
Tale disponibilità a costruire un progetto innovativo e sensibile alle istanze dal basso non esclude, anzi incoraggia, visto lo stato dell’arte, a superare la forma organizzativa Dem, ormai semplice tecnostruttura di gestione del potere.
Da ciò anche la contrarietà di Rosy Bindi al congresso nazionale: formula di per sé rispettabile e necessaria, ma non certo risolutiva. L’ex deputata sottolinea il rischio di commettere il solito errore: chiudere il partito nelle proprie ritualità interne, sempre meno seguite e comprese dagli elettori, ritenendo una giornata di discorsi generici e un nuovo volto in copertina passaggi non sufficienti a rifondare una cultura istituzionale di sinistra per l’Italia.
Sarebbe semplice accanimento terapeutico, conclude l’ex presidente: meglio decretare la morte di un progetto fallito e far nascere una nuova idea di Italia social-progressista.
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