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La festa della mamma e il marketing che non va a segno, o forse sì

Domenica sarà la festa della mamma, un giorno speciale in cui possiamo omaggiare come si deve la donna che ci ha messo al mondo o che ci ha cresciuto. Come ogni anno, esattamente come nel giorno di san Valentino, o l’8 marzo per la festa della donna – sono solo esempi – la seconda domenica di maggio diventa anche un modo in cui le aziende possono guadagnare qualche soldino extra con dei gadget pensati a posta per l’occasione. Non tutte le strategie di marketing, però, vanno a segno nello stesso modo, e soprattutto non tutte riescono ad accontentare i gusti di una platea così ampia di persone, gli italiani in questo caso.

La tazza di Piattini d’avanguardia e la campagna di marketing di Control per la festa della mamma – Nanopress.it

Succede per tutto, in effetti. Uno dei casi più eclatanti degli ultimi tempi riguarda la campagna del ministero del Turismo, quello affidato da Giorgia Meloni a Daniela Santanché, Open to meraviglia, che vede come protagonista la Venere di Botticelli in formato influencer. Se, però, a far storcere il naso, qua, sono stati gli strafalcioni di chi ha effettivamente realizzato il video (nomi delle città sbagliati, spezzoni girati in Slovenia e non in Italia) e la scelta di usare il capolavoro esposto alla Galleria degli Uffizi di Firenze in una mise piuttosto banale, per i gadget pensati per festeggiare la mamma la situazione è molto diversa.

Anna Maria Franzoni – Nanopress.it

A finire nel mirino delle critiche sui social sono stati principalmente la tazza (che in realtà ha tre anni) di Piattini d’avanguardia, “Un po’ la Franzoni la capisco“, che si riferisce, appunto, ad Anna Maria Franzoni, la donna che è stata condannata a otto anni di carcere e cinque di arresti domiciliari per aver ucciso il figlio di tre anni a Cogne nel 2002, e la campagna pubblicitaria di Control, la marca dei preservativi e non solo, che punta invece a regalare alle nostre genitrici un bel vibratore, perché, si legge, “la mamma non si tocca o forse sì“.

Per quanto riguarda la tazza, il troppo veleno ha costretto la proprietaria dell’azienda di Bari, Annagina Totaro, a bloccare i commenti sotto la foto su Instagram, ma anche a precisare che no, il significato non è quello che è lecito commettere dei figlicidi -specie in un periodo in cui troppi ne vengono commessi, per ultimo quello del padre che nel tentativo di uccidere la moglie ritenuta fedifraga ha ammazzato la figlia di 16 anni -, piuttosto che il messaggio è quasi un invito alla riflessione, “perché avere una crisi d’ira nei confronti di un figlio è lecito così come tante mamme si sono ritrovate nella situazione di aver pensato ‘lo uccido!’“. E là ancora di più, apriti cielo.

Non tutte, in effetti, da donne, e non tutti da uomini possono capire e accettare il black humor – io ne sono una fan, lo ammetto -, che di base è la filosofia che sta dietro la frase scritta sulla tazza (della stessa azienda ci sono anche tazze con i nomi di Rosa e Olindo, ovvero quelli che al momento sono ritenuti gli autori della strage di Erba) al di là di ogni giustificazione.

Non tutte, alla stessa maniera, però, nascono con l’istinto di diventare madri e tutte, anche quelle che per scelta o molto più spesso per retaggio culturale decidono di esserlo, possono provare dei momenti no, momenti in cui si vuole essere solo figlie, mogli, compagne, fidanzate, o molto più banalmente donne a prescindere dal fatto che abbiano messo al mondo un pargolo che capita anche di non sopportare – sempre personalmente, io arrivo anche a non sopportare me stessa talvolta, figuriamoci un’altra persona che in tutto e per tutto deve dipendere da me. Tra questo, è chiaro, e quello che ha fatto la mamma in questione c’è un abisso, e quindi il senso della frase non può e non è un invito a commettere quanti più omicidi di figli sia possibile, ma solo a pensare che sì, essere madri, nel 2023, come anche nel passato, non è una passeggiata di salute, e non è neanche così scontato.

Una collezione di vibratori – Nanopress.it

Sui manifesti con i sex toy, bloccati da due enti, ma ancora molto visibili sui social (l’azienda ha lanciato un messaggio di censura per chi ha bloccato “il messaggio da appendere nelle città”), la questione è molto più spinosa, e nei fatti potrebbe essere anche meno divisiva.

Come si può notare dai commenti, infatti, ad andare contro l’azienda di marketing che ha elaborato la campagna pubblicitaria sono stati gli uomini retrogradi, che forse non si sono resi conto che il piacere femminile non è più un tabù (e non deve esserlo), ma soprattutto esiste, perché appunto non siamo solo dei contenitori che sfornano figli, ma siamo donne, persone che hanno dei desideri, delle voglie, che a volte anche un vibratore (speriamo non solo quello) riesce a soddisfare.

A prescindere dalle motivazioni, però, le due scelte non sono state fatte per il classico motto “purché se ne parli”, ma perché rispondono a un’esigenza, anche di ascolto e di importanza, da parte delle mamme, che, al di là delle retorica, non devono essere celebrate a dovere solo la seconda domenica di maggio, in una festa piuttosto consumistica nei fatti, ma tutti i giorni attraverso politiche che garantiscano loro pari opportunità rispetto agli uomini, pari dignità, pari importanza, e quindi possono passare anche attraverso campagne di sensibilizzazione che non le vedano solo, appunto, come esseri delicati a cui regalare un fiore, che poi quello appassisce, e non resta nulla, neanche un pensiero più profondo, o più personale.

Mariacristina Ponti

Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.

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