La Ford Mustang è una star. James Bond è una star. Logico che il loro incontro sia destinato a produrre scintille. Se questo poi accade a Las Vegas, una città per definizione sopra le righe, allora abbiamo lo spettacolo assicurato.
Nel 1971 uscì nelle sale il film “Diamonds are Forever“, settimo della serie tratta dai romanzi di Ian Fleming sull’agente segreto 007. Questa pellicola è nota in Italia col titolo “Una cascata di diamanti“. Protagonista ancora Sean Connery, tornato ad interpretare il glamour agente inglese dopo il flop del film precedente con George Lazenby (Al servizio segreto di sua maestà).
Bond viene inviato da M, capo dell’SIS, più noto come MI6, ad indagare su un traffico di diamanti, al vertice del quale si scoprirà esserci nientemeno che Blofeld (l’attore Charles Gray), il dominus della Spectre, l’arcinemico giurato dello stesso Bond, al quale uccise la moglie nel film precedente.
Diamonds are Forever infatti si apre con quella che sembra la vendetta di 007 per quel delitto: egli rintraccia Blofeld e lo uccide scaraventandolo in una vasca di fango. Ma più avanti si scopre che il morto era solo un sosia.
La pista dei diamanti porta Bond a Las Vegas, al fianco della bella Tiffany Case (l’attrice Jill St. John), complice dei contrabbandieri. L’auto di quest’ultima è una fiammante rossa coupé Ford Mustang Mach 1, modello di quell’anno. Naturalmente guida 007 e altrettanto naturalmente si sviluppa una scena d’inseguimento esilarante nel centro di Las Vegas.
Bond è inseguito da un nugolo di auto della Polizia; non essendo al volante di un’auto “preparata” con i congegni del geniale Q, l’agente segreto deve fare affidamento sulla sua acutissima capacità d’improvvisazione. Così si porta a spasso i poliziotti in un parcheggio fino a farli scontrare tutti fra loro in un ingorgo pazzesco. L’ultima autopattuglia la semina infilandosi su due ruote in uno stretto passaggio di un vicolo cieco.
Curiosità sulla lavorazione del film: poiché la storia prevedeva la distruzione di un gran numero di auto, la Ford offrì alla produzione la fornitura gratuita e illimitata di auto da devastare, a condizione che nel film si vedesse Bond guidare la Mustang Mach 1. La migliore pubblicità possibile.
Mach 1 era quello che oggi si definirebbe un “pack sport” della Mustang di serie. Questa versione venne introdotta nel 1969 e andò avanti fino al 1978. La guerra di cavalli con la Chevrolet Camaro e la Pontiac Firebird era arrivata al volgere degli anni ’70 a livelli già molto interessanti. La Ford Mustang GT in quell’anno montava il motore “Cobra Jet” da 7.0 litri e 335 cavalli.
Tuttavia il nome GT è un po’ troppo europeo per i gusti tipici degli sportivi americani i quali, in quell’epoca come ancora oggi, amano soprattutto le “drag races“, gare di accelerazione in rettilineo. Qui conta solo la forza bruta, la massima potenza per essere sparati dritti per qualche centinaio di metri. Allora serviva un nome adatto. Da qui Mach 1, cioè il limite della velocità del suono.
Il successo della Mach 1 fu tale che fece proprio sparire la versione GT, nome che non fu più usato su una Mustang fino al 1982. La meccanica era in gran parte la stessa ma cambiavano i dettagli sullo stile. Insomma, la Mach 1 era la versione incattivita della Mustang, già di suo poco incline alla tranquillità. Però non si trattava di sola estetica. Le sospensioni erano rinforzate, l’assetto irrigidito e ribassato. Anche le gomme Goodyear erano specifiche.
La seconda generazione della Ford Mustang Mach 1, quella usata nel film, uscì nel 1971. C’erano quattro motorizzazioni disponibili, tutte rigorosamente V8, con cilindrate da 4.9 a 7.0 litri. Certo si fa fatica a pensare a quest’auto come il mezzo di trasporto di Tiffany Case. Infatti guidava il buon James.
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