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Arriva puntuale lo spot della Apple per il Natale 2014 e ancora una volta va dritto nel segno, seguendo una ricetta di marketing ormai così consolidata e vincente da essere imitata in modo massiccio (e non solo in ambito tecnologico). Parliamo della capacità di pubblicizzare e far parlare di un prodotto quasi senza mostrarlo. O, comunque, di lasciarlo sapientemente sullo sfondo, associandolo a una serie di emozioni forti che possono essere condivise da un pubblico ben più ampio di quello che sarebbe stato raggiunto nel caso in cui ci si fosse semplicemente limitati a parlare di uno smartphone o di un computer. Insomma, dicesi paraculaggine. L’arma più efficace dei creativi Apple? Stimolare lacrimoni à gogo.
Il plot dello spot è presto detto. La prima protagonista è una ragazza ed è di colore, perché negli States in questo momento si sta vivendo un periodo di forte tensione razziale con l’apice raggiunto con i fatti di Ferguson e in questo modo Cupertino strizza l’occhio dicendo “Fratelli neri, siamo con voi“. La seconda protagonista è la nonna, che almeno un mezzo secolo prima aveva dedicato al proprio innamorato Raymond un vinile con la propria voce che cantava una canzoncina molto dolce. La seconda furbata è l’uso di una tecnologia antica come il Graph-o-Voice per stimolare l’ohhh nel nerd nascosto (nascosto?) in ognuno di noi. Che cos’è questo Graph-o-Voice? Trattasi di una cabina che funge da mini sala da registrazione all’interno della quale era possibile registrare fino a 2 minuti di audio (parole, musica, canzone, quel che si voleva) su un vinile. E stiamo parlando degli anni ’40.
Ad ogni modo, la ragazza trova casualmente il disco che la nonnina aveva registrato, insieme a una sua foto. La granny del vinile e la nipote hanno circa la stessa età. Ascolta la dedica che dice sostanzialmente che Raymond, non poteva essere a casa per le vacanze, ma che era sempre nel cuore e poi parte un’interpretazione della deliziosa Love Is Here to Stay del film Le Follie di Hollywood (The Goldwyn Follies) del 1938. Così scatta l’idea: digitalizzare il registrato e aggiungerci musica di chitarra, pianoforte e anche la voce (con Garage Band) per un duetto che si compone a distanza di 50 anni. Lascia poi un iPhone sul tavolo con l’indicazione di premere play e la nonna esegue e parte la lacrimona. Che scende non solo sulla guancia dell’anziana protagonista, ma anche da quella di una buona percentuale degli oltre 1.8 milioni di visualizzatori solo su YouTube.
Dalla mia non è caduta, ma non perché non trovassi emozionante e toccante la storia. Al contrario è l’ennesima perla di Apple, un piccolo cortometraggio perfetto per durata, espedienti e dettagli, ma perché la commozione è bilanciata in modo consistente da un piccolo fastidio che nasce ogniqualvolta una pubblicità diventa troppo pretenziosa e – appunto – paracula. Un po’ come quelle delle automobili che cercano di insegnarti il senso della libertà e della vita o quelle dei profumi che sembrano il frutto di un viaggio sotto acido. O quelle delle assicurazioni, che le battono tutte a mani basse. Tuttavia, ogni volta Apple va a bersaglio e bisogna darle atto di questo.
Si innesta nel consumatore una procedura sotterannea per la quale si associa un brand a sensazioni ed emozioni forti, ribellione dai soliti schemi creandone di nuovi ben più subdoli (in questo, il re dei paraculi Steve Jobs, è stato maestro irraggiungibile), commistione tra antico cool e presente ancora più cool. E così, incosciamente, si pensa a quanto sia figa Apple senza sapere bene il perché e si spendono anche 1000 euro per uno smartphone che ne vale meno della metà. Ma in fin dei conti è così: se una strategia è vincente e fa vendere allora è inoppugnabilmente giusta.
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