La guerra più lunga del mondo di cui nessuno parla si sta combattendo da decenni in Birmania. Sono ancora in tanti ad arruolarsi in maniera volontaria nell’Esercito di liberazione Karen (Knla). Gli uomini qui lottano per il futuro del loro popolo. Questa guerra si combatte nella giungla della Birmania orientale, al confine con la Thailandia, tra montagne e vallate che conservano qualcosa di selvaggio. E’ qui che vinono i Karen, una minoranza di circa 7 milioni di persone su 48 milioni di popolazione totale. Fin dal 1949 i Karen lottano per la loro sopravvivenza, sia materiale e quindi fisica, ma anche culturale.
Le risorse di questi territori fanno gola. Nel 2012 sono iniziati dei colloqui di pace tra l’Unione Nazionale Karen (KNU) e il governo birmano che fino ad ora, però, non hanno portato a nulla di fatto perchè i Karen, visti i precedenti, non si fidano dei birmani. Questi territori sono ricchi di risorse naturali che queste popolazioni vogliono salvaguardare dallo sfruttamento selvaggio da parte delle grandi multinazionali. E’ per questo, dicono i Karen, che i birmani vogliono eliminarli definitivamente.
Si muore per liberare Kawthoolei
La Birmania conosciuta come Myanmar dopo la decisione della giunta militare centrale nel 1989, è un Paese composto da un centinaio di etnie forzatamente inglobate durante il periodo coloniale inglese, nel XIX secolo. Alla fine della Seconda Guerra mondiale, nel 1948, nel trattato post coloniale redatto era prevista la costituzione di diversi Stati federali, che Rangoon non osservò mai. Il presidente firmatario Aung San (padre della più conosciuta premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi) fu ucciso e dopo un colpo di stato, il potere è passato alla dittatura militare dello spietato generale Ne Win. Nel 1962 addirittura la giunta dichiarò l’intenzione di eliminare le ‘identità culturali e politiche non birmane‘, mettendo al bando nelle scuole l’insegnamento di lingue non nazionali. E anche quella dei Karen è sparita. Il conflitto tra guerriglieri e militari tuttora è senza esclusione di colpi. Un uomo, racconta: ‘Sono sposato, ma mia moglie sta nel campo profughi thailandese di Umphiem. Un giorno, quando vinceremo, potremo essere finalmente liberi di vivere insieme nel nostro Stato‘. Kawthoolei nella lingua dei Karen, significa ‘La terra senza peccato‘.
I profughi, gli stupri, le mutilazioni
Prima del 2011, quando al potere è andato l’ex generale dell’esercito Thein Sein, i Karen venivano uccisi quotidianamente: ‘Arrivavano nei villaggi e prendevano tutto quello che gli poteva essere utile. Poi davano fuoco alle nostre case‘, spiega il 73enne Milton, nato e cresciuto a Kawthoolei e che ancora spera di vedere la sua terra libera. I rifugiati di etnia karen all’interno dei confini sono almeno 500mila, mentre sono oltre 130mila le persone finite nei campi profughi in Thailandia, costretti a vivere al di sotto della soglia di povertà, in condizioni di estremo disagio. Da non dimenticare, poi, la tragica eredità delle mutilazioni dovute alle mine antiuomo e ad altri ordigni, largamente disseminati sul territorio. Non ci sono numeri ufficiali precisi, ma gli ultimi dati diffusi parlano di più di 3mila vittime, tra uccisi e mutilati, solo negli anni che vanno dal 1999 al 2013. E poi ci sono gli stupri, migliaia di stupri ai danni delle donne, secondo i dati raccolti dalla Karen Women Organization (KWO) e dal Karen Human Right Group (KHRG).
Karen Revolution Day
Il 31 gennaio di ogni anno è una giornata di festa ad Oo Kray Khee, un villaggio che i Karen chiamano anche Little Verona in segno di riconoscenza verso la Comunità Solidarista Popoli, una Onlus italiana che dal 2001 ha permess la costruzione di villaggi, scuole e cliniche mediche in queste zone bisognose. E’ la festa in cui si ricorda l’inizio della guerra per la libertà, è un giorno molto importante per il popolo Karen, che ricorda tutti i loro morti che sono caduti combattendo per vedere Kawthoolei libera dalla tirannia birmana. ‘Oggi, nel 66esimo anniversario della rivoluzione Karen, voglio testimoniare riconoscenza a tutti i predecessori e martiri che, nel corso della storia, si sono sacrificati in nome della nostra causa. Dobbiamo continuare a lottare per ottenere i nostri diritti. Questa è la terra dei nostri avi, la terra dove siamo nati, la terra per la quale lottiamo e nella quale intendiamo vivere oppure, se necessario, morire da uomini liberi‘, sono state le parole del generale Nerdah Mya, numero uno della Karen National Defence Organization (KNDO), figlio del generale Bo Mya, leggendario leader della lotta armata contro il regime birmano.
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