Con La lottatrice di sumo, Giorgio Nisini – l’intervista subito dopo il salto – affronta un tema importante e, al contempo, molto delicato: la possibilità (o meno) di comunicare con l’aldilà. Il protagonista del romanzo, infatti – in libreria da gennaio 2015 per Fazi Editore – è un fisico alla soglia dei cinquant’anni che, dopo aver pubblicato con successo un libro in cui spiega il suo scetticismo rispetto alla vita oltre la morte, vede le sue certezze crollare improvvisamente. Ritrova, infatti, casualmente o forse no, un vecchio dipinto, La lottatrice di sumo, che lo costringe a fare i conti col passato e (soprattutto) con il ricordo di una donna morta tragicamente più di vent’anni prima.
Il quadro potrebbe essere (e il condizionale è decisivo poiché è proprio sul dubbio che si costruisce l’intero racconto) l’opera più importante di Massimo Golem, un pittore visionario dotato di poteri medianici, osannato dai critici e molto noto negli ambienti esoterici.
Muovendosi con grande disinvoltura tra presente e passato, tra ragione ed occulto, lo scrittore viterbese, finalista, tra l’altro, con La città di Adamo al Premio strega 2011, dà vita ad una storia coinvolgente scritta con grandissima capacità narrativa. L’intreccio, abilmente costruito, ‘costringe’ il lettore a muoversi sul terreno del dubbio, senza mai rivelare nulla fino allo scioglimento finale della vicenda.
Il romanzo è l’ultimo di una sorta di Trilogia dell’incertezza che altro non è se non l’ossessione che si scatena quando, di fronte ad una realtà improvvisamente incomprensibile, la fede nella ragione comincia a vacillare.
Una lottatrice di sumo è l’oggetto del quadro attorno al quale si snoda tutta la vicenda. Come mai questa scelta?
È stata una visione che ho avuto un pomeriggio d’agosto in una paesino delle Marche. Stavo ragionando sul romanzo e mi è venuta in mente una donna in posizione d’attacco che poteva sciogliere la vicenda. E poi mi piaceva l’idea di una femminilità aggressiva e deforme. Nel sumo l’eccesso di peso non è un difetto, ma la condizione necessaria per poter diventare un grande campione. Quest’inversione di canoni la trovo metaforicamente attraente.
Nel romanzo vi sono tre donne, ognuna con un carattere diverso e tutte dotate di grande fascino: si è ispirato a qualcuna in particolare?
Mi sono ispirato a tre sguardi di donne: quello di Romy Schneider in Fantasma d’amore, di Kim Novak ne La donna che visse due volte e di Renée Falconetti ne La passione di Giovanna d’Arco. Sono sguardi diversi, ma tutti caratterizzati da una forza magnetica e spirituale. Fin da ragazzino mi hanno turbato e affascinato moltissimo.
Parliamo di Massimo Golem, una delle figure-chiave di tutta la vicenda. Perché ha scelto un artista dotato di poteri medianici?
Mi serviva un medium per raccontare questa storia: non poteva che essere un artista. Il mito di Orfeo ed Euridice è da questo punto di vista centrale: Orfeo riesce a strappare agli inferi la sua amata grazie alla forza della sua musica e del suo canto, anche se poi la perde per sempre. L’arte è questo perenne conflitto tra perdita e possesso, tra possibilità di superare ogni limite e limite stesso.
Come nasce questo personaggio?
Dalla somma di tutti i guru, i mistici, i santoni, i medium che ho incontrato nella mia vita. Golem è il risultato di un addizione mentale.
Invece la Sua idea riguardo la possibilità che ci sia vita dopo la morte qual è?
Ho una posizione scettica, ma senza pregiudizi. Potrei dire che non sono un dogmatico della fede né del materialismo assoluto. In generale sono convinto che l’uomo occidentale abbia rimosso la sua componente illogica e spirituale, nonostante abbia un estremo bisogno di spiritualità. Prima lo riconosce, prima salva se stesso.
La lottatrice di sumo è il terzo romanzo, dopo La demolizione del Mammut e La città di Adamo, della cosiddetta ‘Trilogia dell’incertezza’: può spiegarci cosa intende?
Non si tratta di una trilogia collegata narrativamente, sono tre storie perfettamente autonome, che però ruotano attorno a uno stesso tema: il dubbio, l’incertezza. Ogni romanzo approfondisce un aspetto di questo tema: i traumi dell’infanzia ne La demolizione del Mammut, il rapporto con il passato e con il padre nella Città di Adamo e l’aldilà nella Lottatrice di sumo.
Il libro tocca anche un altro importante argomento: il rapporto padre-figlio.
Ho scritto questo romanzo vedendo crescere mia figlia più grande. Sentivo il problema della comunicazione e della trasmissione dell’affetto. Ho un rapporto molto bello con mia figlia, ma a volte lei, come la figlia di Golem, sente il mio lavoro di scrittore come un potenziale nemico. È qualcosa che mi allontana dal mondo, e quindi anche da lei.
Quanto c’è (se c’è) di autobiografico nel personaggio di Giovanni Cadorna?
La sua formazione scientifica, il suo rapporto con il tempo e con il passato, la sua resistenza a farsi sedurre facilmente dall’irrazionale.
Contromondo è un luogo molto affascinante: ricorda un posto in particolare al quale si è ispirato o esiste per davvero?
No, non esiste, anche se molte persone, dopo aver letto il libro, mi hanno parlato di luoghi reali che sembravano ricordarlo. A dire il vero c’è un monastero sconsacrato nell’alta Tuscia, che oggi è diventato un resort di lusso, che mi ha ispirato alcune atmosfere architettoniche e paesaggistiche. Dalle mie parti c’è anche un altro ex monastero, abitato da una comunità parareligiosa, dove sono stato ospite a capodanno del 2001. Anche quel luogo mi ha suggerito qualcosa di Contromondo.
La lottatrice di sumo racconta una storia che si basa su due concetti in antitesi tra loro: la possibilità di stabilire ‘un ponte di comunicazione’ con l’aldilà e il rifiuto categorico di tutto questo, irrazionalità e ragione: cosa può dirci a riguardo?
Credo che ognuno di noi desideri poter rivedere un giorno le persone che ha amato e che non ci sono più. Allo stesso tempo, però, tutto ciò che riguarda la vita dopo la morte ci spaventa. È una contraddizione irrisolvibile, che nasce dal nostro istinto di relegare ai margini i lati oscuri dell’esistenza. È un istinto di conservazione che ci salva dalla follia.
Quanto è importante per il protagonista la storia d’amore con Margherita?
Tantissimo, come tutte le storie d’amore dell’adolescenza. È l’amore al massimo grado della sua intensità: potente, libero, forte, pericoloso, romantico, invasivo. Se quell’amore finisce per un evento inconcepibile rischia di trasformarsi in una nostalgia che non lascia tregua. È ciò che è accaduto al protagonista del mio libro, che non riesce a cancellare dentro di sé lo sguardo di Margherita.
E’ arrivato tra i finalisti al Premio Strega 2011: come ha vissuto questa esperienza?
Con molto entusiasmo e sorpresa, anche se ho cercato di mantenere un certo distacco emotivo. Qualcuno mi rimproverò per non aver fatto abbastanza promozione tra i votanti. Ma le logiche elettorali, in letteratura, non fanno parte di me. Lo Strega, come ogni premio, lo deve vincere la forza della scrittura.
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