Una chat dal contenuto erotico ed inequivocabile tra Alessia Pifferi e un cinquantaseienne originario della bergamasca getta nuove ombre sulla triste vicenda che ha riguardato la morte di Diana Pifferi.
Sui dispositivi e sui telefoni sequestrati sarebbe stato rintracciato un messaggio dell’uomo che, con riferimento proprio alla bambina, scriveva: “Voglio baciare anche lei”. Al messaggio dell’uomo Alessia rispondeva: “Lo farai”. Saranno le indagini, coordinate dal P.m. Francesco De Tommasi e dalla Dott.ssa Stefania Stagnaro, a fare luce sulla vicenda. Nel frattempo, però, il dato incontestabile ed incontrovertibile è che Alessia e il misterioso cinquantaseienne sono indagati per corruzione di minore.
Una maternità disumana
La cronaca delle ultime ore presenta connotati di maternità disumana. Seppur appaia una chiara contraddizione in termini.
Se però la notizia relativa ai presunti abusi venisse confermata, porterebbe verso un’agghiacciante consapevolezza: l’esistenza di una mostruosità materna. Quella di Alessia Pifferi.
Il quadro dell’indagata peggiora di ora in ora. Dettagli raccapriccianti che salgono agli onori della cronaca e che delineano i tratti di una donna malvagia, senza scrupoli ed egoriferita. Con caratteristiche personologiche perverse ed estremamente lucide. Alessia non ha mai perso il contatto con la realtà.
Era lucida quando ha consapevolmente abbandonato sua figlia al suo tragico destino. Era lucida quando l’ha sedata. E lo era quando ha pensato di lasciarla, o l’ha lasciata, secondo le ultime indiscrezioni, alla mercé e alle attenzioni sessuali dei suoi amanti. Confermando quale fosse la sua priorità: sacrificare sua figlia per il soddisfacimento dei suoi bisogni. Di qualsiasi natura essi fossero.
Lucida, a maggior ragione, anche in carcere, quando ha chiesto di ricevere una foto di Diana. Foto peraltro assenti nella sua abitazione. Confermando, quindi, che l’espressa volontà di tenere uno scatto di Diana in cella, aveva come unico scopo quello di acquistare nuovamente credibilità materna: Alessia ha capito di rischiare il “fine pena mai”. La follia con questa storia non ha niente a che fare e la parola finale sarà proprio ergastolo.
L’ombra delle benzodiazepine e i risultati dei tossicologici
Diana Pifferi aveva solo diciotto mesi ed è morta di senti. Lasciata morire dalla persona che di più al mondo avrebbe dovuto amarla: sua madre.
I parziali dei tossicologici hanno confermato, dopo il ritrovamento nell’abitazione di una boccetta di EN, la presenza di benzodiazepine nei capelli e nelle formazioni pilifere della piccola. La difesa ha avanzato dubbi in proposito parlando dell’assenza del sedativo nelle urine. Ma questo è un dato che può facilmente spiegarsi come segue.
Anzitutto, la matrice maggiormente attendibile, quando devono compiersi accertamenti di questo tipo, è rappresentata dai capelli. I capelli, infatti, vengono considerati dagli addetti ai lavori come una memoria perché in grado di conservare questo tipo di informazioni addirittura per anni. Ma il mancato rinvenimento delle benzodiazepine nei residui liquidi potrebbe essere un falso positivo dovuto all’avanzato stato di decomposizione del corpo della piccola Diana. Non può sottacersi, infatti, come i bambini si decompongano più rapidamente degli adulti.
Nel rispetto dei tempi di legge, solo una drammatica certezza. Morire a diciotto mesi è un oltraggio alla vita.