La nuova versione della Supercoppa italiana puzza di sportwashing, ancora
La Lega Serie A, proprio ieri, ha deciso che le prossime quattro edizioni della Supercoppa italiana, a prescindere dal loro formato – si sta ragionando, qualora i calendari saturi di impegni lo permetteranno, di passare alle Final Four, anziché la finale secca -, che si giocheranno in Arabia Saudita. Dal 2024 al 2029, saranno quattro le vincitrici che verranno incoronate nel Paese del Golfo, come tra l’altro già successo in passato, per ultima l’Inter contro il Milan a Riad.
Nelle casse dell’organo di governo del nostro massimo campionato dovrebbero arrivare 23 milioni di euro a stagione se si decidesse di portare avanti il torneo “alla spagnola” e 12 milioni se invece dovesse rimanere così com’è, quasi 100 milioni, quindi, nel primo caso, poco meno di 50 milioni nel secondo. E sì, è per forza una questione di soldi la decisione di cedere alle avance dei sauditi, così come più o meno ha detto il presidente, Lorenzo Casini, sicuramente non è una decisione presa tenendo conto dei diritti umani, ancora una volta. E sì, ancora, puzza di sportwashing.
La Lega Serie A cambierà (forse) il formato della Supercoppa italiana, ma non fa nulla per lo sportwashing, anzi
L’assemblea della Lega Serie A, ieri, ha licenziato un nuovo provvedimento che cambierà, ancora, il mondo del calcio come lo vediamo oggi, per lo meno in Italia. I venti presidenti del nostro massimo campionato, assieme al presidente Lorenzo Casini e all’amministratore delegato, Luigi De Servio, infatti, hanno deciso di riportare la Supercoppa italiana in Arabia Saudita e, a partire dal prossimo anno, anche in nuova versione, quella a quattro squadre.
Non è detto che il torneo, che imita quello spagnolo, continui poi anche l’anno dopo, perché, ha spiegato l’ad all’Ansa, ci sono i vari impegni dei club – ovvero le due prime classificate della Serie A e le due finaliste della Coppa Italia, e qualora fossero le stesse la terza e la quarta del campionato – che devono essere incastrati. Se si dovesse optare per la seconda formula, be’, i soldi che arriveranno nelle casse dell’organo che di fatto amministra il nostro calcio di punta saranno decisamente meno, da 23 milioni a 12, ma con un’amichevole di una squadra terza che dovrebbe giocare contro una saudita, per far crescere il loro movimento pallonaro.
A crescere, sempre per De Siervo, però, è anche la nostra Supercoppa, che “all’estero – ha spiegato – è uno strumento che viene impiegato per arrivare ad aree dove c’è un certo tipo di pubblico, in Arabia il 50% delle persone ha meno di 25 anni“.
Ammesso e non concesso che sia così, era proprio necessario far progredire il torneo in un luogo in cui i diritti, invece, più che aumentare diminuiscono di giorno in giorno? A questa domanda, in un certo senso, ha risposto Riccardo Noury all’Adnkronos, ovvero il portavoce di Amnesty International Italia, la stessa associazione che già in passato si era schierata contro la scelta della Fifa di assegnare i Mondiali di calcio del 2022 – quelli vinti dall’Argentina di Lionel Messi per intenderci – al Qatar, altro Paese del Golfo che dello sportwashing ha fatto quasi una bandiera.
“La Lega di Serie A è complice di un sistema che tende a negare e a nascondere le violazioni dei diritti umani tramite manifestazioni sportive“, ha iniziato Noury prima di specificare che “più si continua a dare credito alle autorità saudite perché hanno soldi per ospitare eventi sportivi, più la situazione terribile dei diritti umani in questo Paese continuerà a essere ignorata“.
Il portavoce ha riflettuto soprattutto sulla marcia indietro rispetto a quello che si era detto nel 2018, e dopo l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, impunito sì, ma per cui ci sono “chiari sospetti” sul fatto che il mandante sia stato l’erede al trono, Muhammad bin Salman. L’idea, infatti, di pensarci due volte prima di accettare i soldi dei sauditi sembra essere passata in secondo piano, così come lo sono i difensori dei diritti umani che sono in carcere, le 15 persone condannate nel 2022 solo per aver espresso delle opinioni online, la pena di morte, la situazione delle donne, ancora discriminate, e anche il conflitto in Yemen, “che ha prodotto crimini di guerra e la morte di molti bambini“, ha puntualizzato.
Secondo Noury, infatti, esiste una linea rossa che il calcio non può varcare e “sta nel fatto che lo sport non può essere strumentalizzato cinicamente per nascondere violazioni dei diritti umani“, anche se pure in passato è stato così, e ne è un esempio il Mundial, vinto sempre dall’Albiceleste, e in casa, nel 1978. Con l’Arabia Saudita e il Qatar, però, ha concluso, “siamo di fronte a un caso unico cioè all’uso sistematico dello sport a tutela della propria reputazione e per nascondere le violazioni dei diritti umani“.
E tanto vale, aggiungiamo noi, criticare a cose ormai concluse, come è successo a novembre, in cui tutti si sono resi conto, in un certo senso, che il Paese del Golfo che ha ospitato i campionati del mondo non era esattamente un posto virtuoso, anzi, e tanto vale anche mettere davanti a tutto i soldi. D’altronde, per quanti ne arrivano, un po’ di altri se ne perdono da chi, invece, non può andare a seguire la partita allo stadio.
Non serve andare troppo indietro nel tempo per notare che all’ultima edizione della Supercoppa, quella vinta dall’Inter di Simone Inzaghi con un rotondo 3-0 ai danni dei cugini del Milan, giocata proprio a Riad per tenere fede a un altro accordo, sugli spalti di spettatori ce n’erano meno di quante ce ne sarebbero stati a San Siro, per esempio, uno degli impianti più chiacchierati, ma anche di quelli che, in stagione, ha visto più tifosi andare a sostenere o i nerazzurri o i rossoneri – a seconda di chi giocava in casa, chiaro.
E tanto vale, ancora, andare in campo con le strisce rosse per omaggiare le vittime di violenza sulle donne, indossare fasce al braccio per ricordare i migranti morti in mare, o altre mille situazioni simili, se poi si sacrifica tutto in nome di una crescita che non esiste, di un insabbiamento delle condizioni di chi, sicuramente, sta peggio di noi.
Mariacristina Ponti
Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.