Morire a 14 anni affogato in mare, con la pagella cucita nella giacca per dimostrare di essere bravo, di voler studiare. È solo una delle storie raccolte nel libro “Naufraghi senza volto” scritto dal medico legale Cristina Cattaneo (edito da Raffello Cortina Editore) che oggi torna viraledopo l’intervista dell’anatomopatologa al Foglio. Cattaneo, già medico legale del caso Yara, ricorda infatti come e perché ha deciso di creare il primo protocollo al mondo per il riconoscimento dei cadaveri affogati nel Mediterraneo, donne, uomini e bambini che troppo spesso rimangono senza nome, soli anche nella morte.
Tutto inizia il 3 ottobre 2013 quando l’Italia vive uno dei più grandi naufragi di migranti della recente storia nelle acque di Lampedusa: 368 persone muoiono sommerse dalle acque, costringendo politica e società civile a guardare negli occhi la tragedia che si consuma ogni giorno nel Mediterraneo.
Nello stesso giorno la dottoressa perde il padre e si trova “dall’altra parte”, sentendosi ancora più vicina a quelle madri, figli, nonni, parenti e amici che, dall’altra parte del mondo, aspettano notizie dei propri cari e che spesso non sanno neanche che sono morti.
Così, dal suo ufficio del LABANOF – Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense – all’Università di Milano, inizia a lavorare in collaborazione con l’Ufficio del Commissario straordinario del Governo per le Persone Scomparse, creando il primo protocollo al mondo per identificare le vittime dei naufragi di migranti.
Il suo è un lavoro prezioso, pieno di umanità e che restituisce l’enormità del dramma che continua a mietere morti, porti chiusi o meno (ricordiamo che a oggi, nonostante le dichiarazioni del ministro Salvini, non esiste alcuna direttiva del governo per la chiusura dei porti alle navi delle Ong e che tutte le inchieste a carico delle organizzazioni umanitarie sono state chiuse dalla magistratura in un nulla di fatto).
Secondo i dati raccolti da diverse associazioni umanitarie, sono circa 30mila i migranti morti nel viaggio verso l’Europa: una cifra enorme che per di più è da prendere con le pinze per difetto.
“All’indomani del naufragio del 3 ottobre 2013, la domanda che mi posi fu: per qualunque disastro aereo, tsunami o terremoto, qualcuno si muove sempre. Anche se si tratta di paesi in difficoltà, di solito si fa qualche cosa per identificare le vittime. Su questa tragedia: zero”, ha spiegato Cattaneo al Foglio.
Da qui la decisione di fare qualcosa e di raccontare poi le storie che ha conosciuto nel suo lavoro, come quella del piccolo proveniente dal Mali, morto a 14 anni in mare con la pagella cucita nella giacca per dimostrare a tutti quanto era bravo a scuola.
Il piccolo è uno delle quasi mille vittime di quello che sarà il naufragio più tremendo dalla Seconda Guerra Mondiale, avvenuto il 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia, quando un barcone proveniente dalla Libia si ribalta e i soccorsi, arrivati tardi, non possono fare altro che raccogliere i morti.
Il primo bilancio parla di 800 vittime, ma saranno oltre mille i morti, tra cui il piccolo studente che sognava un futuro in Europa e che qui invece ha trovato solo morte.
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