Con una proposta dell’M5S, inserita come emendamento al nuovo regolamento del Senato, verrà discussa a Palazzo Madama la possibilità di rendere ufficiale anche negli atti la declinazione femminile delle cariche istituzionali.
Il provvedimento sembra di poca importanza, eppure è un altro passo che denota la sensibilizzazione che le istituzioni italiane vogliono darsi per veicolare un esempio che contribuisca alla vera rivoluzione culturale di cui lo Stivale avrebbe bisogno riguardo a parità e diritti di genere.
La prossima settimana l’aula del Senato dovrà discutere del nuovo regolamento della sede istituzionale, ciò a causa del taglio dei parlamentari varato nell’attuale legislatura e che entrerà in vigore dalla ventura del 2023.
Tra le proposte e gli atti emerge un emendamento presentato dal Movimento 5 Stelle nel quale si chiede di riconoscere ufficialmente la dicitura di termini quali “ministra”, “senatrice” o “la presidente”.
Come anticipato, perché il femminile divenga genere ufficialmente ammesso negli atti parlamentari si dovrà attendere l’approvazione di Palazzo Madama, che discuterà il nuovo regolamento d’aula, dove l’emendamento è inserito assieme ad altri 90, la prossima settimana.
Altre novità presenti tra le proposte è la riduzione a 9, dai 10 precedenti, del numero di componenti necessario per la formazione di un nuovo gruppo parlamentare e la ripartizione dei fondi in caso di passaggio di un senatore ad un’altra forza politica in seno alla legislatura (si vorrebbe in tal senso elargire un 50% dei fondi al gruppo di provenienza, un 30% alla formazione di destinazione ed il restante 20% all’istituzione senatoria).
La disposizione a firma Alessandra Maiorino (M5S) compie un piccolo passo verso il riconoscimento dell’apertura dei luoghi del potere anche al genere femminile.
Sebbene nel mainstream questi epiteti siano già abbastanza diffusi, accompagnati dalle polemiche dei puristi della lingua (spesso molto selettivi nelle battaglie linguistiche da portare avanti), non vi era ancora la possibilità di utilizzare questi sostantivi negli atti ufficiali dello stato.
Certo ben poca cosa rispetto alle grandi diseguaglianze che tutt’oggi imperversano nel nostro paese a proposito di parità di genere e pari opportunità: eppure se è vero che il linguaggio è un modo per esternalizzare il proprio modo di pensare e vedere la realtà, riconoscere questa declinazione al femminile può essere una modalità a supporto del percorso di riconsiderazione sociale e culturale della donna.
Difatti a questa fino ad oggi non solo era pressoché interdetta la reale partecipazione alle dinamiche di potere, ma questa esclusione era plasticamente segnalata dall’assenza di termini specifici per questa metà della popolazione.
Si potrebbe concludere affermando che in Senato si sta compiendo un piccolo passo per la donna, ma un grande passo per le istituzioni italiane.
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