Il Gip di Venezia Alberto Scaramuzza ha disposto l’iscrizione al registro degli indagati per frode processuale e depistaggio della dottoressa Letizia Ruggeri, il pubblico ministero del caso Yara Gambirasio.
L’oggetto dell’indagine riguarda la conservazione dei reperti di matrice biologica che ha condotto alla condanna all’ergastolo di Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio. Una richiesta, quella del giudice per le indagini preliminari di Venezia, arrivata a 12 anni di distanza dalla morte della ginnasta di Brembate. In tal senso, non pochi sono i dubbi e le perplessità che ruotano attorno alla decisione. Ma andiamo per gradi.
Come detto, il reato contestato alla PM Ruggeri è quello di frode processuale e di depistaggio. Nello specifico, accolta la richiesta dei legali del muratore di Mapello, il gip di Venezia, competente a giudicare i magistrati di Bergamo, ha richiesto la verifica della corretta conservazione di reperti delle 54 campionature di DNA. Queste ultime allo stato custodite nelle stanze del tribunale di Bergamo.
In questa direzione, l’anomalia afferirebbe alla preservazione delle provette contenenti il materiale genetico a temperatura ambiente. Certamente, una modalità non adeguata alla preservazione di campioni biologici. Ma c’è un’imprescindibile constatazione che rende davvero difficile comprendere le ragioni che hanno spinto il gip di Venezia a disporre l’iscrizione nel registro degli indagati della dottoressa Letizia Ruggeri.
Difatti, non esiste nell’ordinamento penale italiano una disposizione che preveda la conservazione di un campione, anche se di matrice biologica, all’interno di un frigorifero.
Diversamente, l’ordinamento dispone che il reperto venga semplicemente conservato presso l’ufficio corpi di reato. Dunque, in questo senso, è sicuramente più coerente la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura nei confronti della PM Ruggeri.
Ma vi è di più. Nel corso il processo gli ufficiali dei Ris hanno più volte sottolineato che il materiale genetico inizialmente attribuito ad un profilo ignoto fosse stato consumato nell’espletamento delle varie analisi. Da angolo di visuale, quindi, la perizia che i legali di Bossetti continuano a chiedere per ottenere la revisione del processo, non permetterebbe nuove amplificazioni né tipizzazioni del Dna.
In questa riflessione, è comunque possibile fare un ulteriore passo in avanti. In giudizio è stata dimostrata la regolarità delle fasi di isolamento, estrazione e individuazione del profilo genetico. Un profilo sconosciuto perché non schedato e, per tale ragione, denominato Ignoto uno. È stato solo a seguito di anni di indagini e migliaia di campionamenti che quel profilo sconosciuto è stato attribuito al muratore Massimo Giuseppe Bossetti. Ad incrementare i dubbi sulla decisione del gip di Venezia di indagare la dottoressa Letizia Ruggeri, vi è la constatazione che nell’ordinamento giudiziario italiano non esiste una norma che preveda la ripetizione della prova scientifica se i giudici la ritengono un’attività superflua. Pertanto, non si capisce come possa essere lamentata la violazione del diritto alla difesa da parte di Massimo Bossetti. Che è, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’assassino di Yara Gambirasio.
Infine, ma non in ultimo, stabilito scientificamente che Ignoto uno è Massimo Giuseppe Bossetti, si evidenzia come una nuova analisi dei residui di campione sarebbe del tutto priva di senso. Ciò perché, come ampiamente illustrato nel corso del processo da parte degli ufficiali dei Ris, il profilo genetico è stato confermato da ventiquattro marcatori allelici. Un numero di gran lunga superiore a quello richiesto dalle linee guida internazionali per l’assegnazione ad un individuo di un dato DNA. Le linee guida in parola, difatti, ne richiedono solamente quindici.
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