Foto da globalteacherprize.org
La professoressa migliore del mondo è palestinese e insegna in un campo profughi di Betlemme. Si chiama Hanan al-Hroub, ha 43 anni, porta avanti la missione di insegnante in un territorio deturpato da una guerra infinita, dove i ragazzi hanno paura pure di andare a scuola. Abnegazione che le è valsa il Global Teacher Prize 2016.
Il concorso, giunto alla seconda edizione, è organizzato dalla Varkey Foundation, associazione che si occupa di migliorare gli standard educativi dei bambini sfortunati che vivono in zone di guerra o di sottosviluppo economico. Hanno partecipato ottomila docenti di tutto il mondo. I dieci finalisti (nessun italiano tra loro) sono stati invitati alla cerimonia di premiazione di Dubai durante il Global Education and Skills Forum. La vincitrice è stata annunciata in un video anche da Papa Francesco, che ha spiegato quanto sia importante la “nobile professione” di educatore: “Parte dell’educazione è insegnare ai bambini come giocare perché si impara a socializzare, la gioia di vivere, proprio attraverso i giochi”.
Hanan al-Hroub riceverà ora un premio di un milione di dollari. Non c’è il rischio che non rispetti le condizioni poste dall’organizzazione, ovvero continuare a fare l’insegnante per almeno cinque anni. “Sono orgogliosa di essere su questo palco. E accetto questo premio come una vittoria per tutti gli insegnanti e per quelli palestinesi in particolare”, ha commentato.
La professoressa è cresciuta nel campo profughi di Deisha, a sud di Betlemme. Siamo in Cisgiordania, in lingua inglese chiamata West Bank, che assieme alla Striscia di Gaza fa parte dei territori palestinesi. “Sono nata in un contesto in cui la violenza era ed è all’ordine del giorno, e ho dovuto crescere in fretta”, ha raccontato al momento della candidatura. Ha deciso di diventare insegnante dopo che i figli hanno visto i soldati israeliani ferire il loro papà. Per lo shock hanno smesso di uscire per andare a scuola abbandonando i libri.
Finché la mamma è diventata la loro insegnante: “Lo shock subito condizionò pesantemente il comportamento, la personalità e i voti dei miei figli”. Ha così messo a punto un sistema di apprendimento, fatto di giochi, fiducia e collaborazione, ha chiamato prima i figli dei vicini e infine ha coinvolto tutto il campo profughi: “Poco dopo aver iniziato queste attività ho riscontrato netti miglioramenti nei miei figli: cresceva la sicurezza in loro stessi e miglioravano anche i voti a scuola. Per questo decisi di cambiare il mio indirizzo di laurea e diventare un’insegnante”. L’istruzione, si auspica, ci consentirà “di riprenderci la nostra terra, che ci hanno tolto perché eravamo ignoranti”.