Multe per chi usa parole straniere: perché oggi l’italianizzazione è “ridicola”. La proposta anacronistica di Rampelli.
La proposta di legge firmata da Fabio Rampelli che vorrebbe multare fino a 100mila chi non usa termini italiani nell’amministrazione pubblica e in altri campi ha fatto molto discutere, non solo per le contraddizioni ma anche per il carattere prettamente anacronistico.
Multe e sanzioni, piuttosto che l’incentivo a preservare l’importanza di una lingua autorevole come quella italiana, rischiano veramente di gettare nel ridicolo l’intero dibattito.
Teoria espressa ad esempio dal presidente della Crusca, professore Claudio Marazzini – che da anni lotta contro l’uso improprio di inglesismi, in commento alla proposta di legge di Rampelli.
Ma perché risulterebbe inutile a questo punto un tentativo di “italianizzazione”? Impossibile non andare con la mente alla legge fascista del luglio 1923.
In quel caso Mussolini oltre alla volontà inserire nel vocabolario termini che avrebbero dato forza al senso nazionalista e allargato la magnificenza della patria, in un contesto di purezza del linguaggio coerente con le più atroci teorie della purezza della razza, l’intento era anche quello di dare forza all’Italia centralizzando il Paese in ottica di controllo di zone recentemente colonizzate e attenzione particolare ai territori sloveni.
Certo, le leggi vennero poi accolte con entusiasmo dagli intellettuali fascisti come Gabriele D’Annunzio, ma il parallelismo Rampelli-Gentile può attendere.
Quello che l’alfiere di Fratelli d’Italia chiede infatti, spingendosi ancora più a largo di quanto Matteo Salvini aveva osato fare, è una proposta di legge contro il dilagare degli anglicismi – adesso 9.000 su 800.000 parole in lingua italiana. Una tendenza inammissibile, sostiene Rampelli: “Non più ammissibile che si utilizzino termini stranieri la cui corrispondenza italiana esiste ed è pienamente esaustiva”. L’eccessiva esterofilia accusata dalle fila di FdI però, è minacciata da multe che vanno da 5mila a 100mila euro.
La cosiddetta salvaguardia nazionale e difesa identitaria risulta, in tanti dei punti proposti dalla legge, assolutamente anacronistica.
La lingua italiana dovrebbe diventare obbligatoria per la fruizione di beni e servizi. Poi l’imposizione di trasmettere le comunicazioni pubbliche solo con termini italiani. Si andrebbe verso l’obbligo di utilizzare strumenti di traduzione o interpreti per ogni manifestazione o conferenza. E ancora il divieto di usare sigle o denominazioni straniere, mentre nelle scuole e nelle università i corsi di lingua straniera dovranno essere tollerati solo in caso di presenza di studenti stranieri. Chiusure preoccupanti, come quest’ultimo punto, più che salvaguardia di una risorsa.
Scegliere come esempi i modelli francesi e spagnoli inoltre, per la valorizzazione dell’idioma italico non solo sarebbe un grave errore linguistico, ma anche culturale – considerando un eccessivo attaccamento alla lingua criticata anche dentro i rispettivi confini. Insomma, due pessimi compagni di banco, che hanno prestato adesso il fianco a tante difficoltà e che nonostante tutto possono ampiamente permettersi di rimanere confinati nel castigliano parlato in tutta l’America Centrale e nella maggior parte dell’America del Sud, e per il Francese parlato solo in Occidente in Belgio, Canada, Svizzera e Lussemburgo, senza considerare il Nordafrica.
Lingua inglese che per tanti giovani in Italia, ad esempio, rimane un enorme problema. Secondo dati del 2021 infatti, solamente il 43% degli studenti con diploma sarebbe accostabile al livello B2 (medio) di Inglese.
I corsi di lingua straniera sono rari e appartengono a pochissime facoltà universitarie nel nostro mondo accademico, il quale produce i migliori professionisti ma per la gioia di Fratelli d’Italia, assolutamente monolingue. Fattore influenzato dall’altissima età media, una delle più alte d’Europa. Pochissimi nel nostro Paese infatti hanno realmente studiato l’inglese. Una precisazione doverosa, anche se scontata se il dito viene puntato contro gli anglicismi, quella delle nostre difficoltà. Leggi come questa proposta da Rameplli potrebbero inevitabilmente rappresentare un ulteriore freno.
In questo contesto, sembra totalmente fuori dai tempi impedire una tendenza che, tramite internet dall’inizio dell’era dei computer, è inevitabilmente diventata quella alla semplificazione di termini in una lingua come quella inglese che si presta perfettamente per diversi settori (perfino quello medico, oltre che quello musicale o del web in generale).
Ma Fratelli d’Italia prova in maniera goffa e anacronistica a combattere questo trend (andamento generale, orientamento, moda) con una difesa e salvaguardia della lingua che sarà utile solamente a riempire le pance di un elettorato che difficilmente – soprattutto quello di una certa età – comprende le reali problematica legate alla lingua.
Quelle per le quali si batte ad esempio l’accademia della Crusca, che tenta realmente di tutelare, proteggere e mantenere il modo corretto di parlare. Punto mai trattato, stranamente, da Rampelli. Lingua italiana che non sembra affatto minacciata da un eccessivo uso dell’inglese, per quanto “streaming” e “download” facciano ormai parte del linguaggio comune, ma che probabilmente avrebbe bisogno di stimoli dal punto di vista culturale piuttosto di esasperate punizioni.
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