Con La regola dell’equilibrio di Gianrico Carofiglio torna in scena l’avvocato più famoso della narrativa italiana, Pietro Guerrieri. Quinto episodio – di cui vi diamo trama e recensione – della serie dedicata al professionista investigatore, il nuovo romanzo firmato dall’ex magistrato, ora scrittore di professione, è balzato direttamente in cima alle classifiche di vendita, spodestando di netto Wilbur Smith e Andrea Camilleri. C’era d’aspettarselo, visto il successo riscosso quest’estate da Una mutevole verità, una storia noir dove ha fatto il suo ‘esordio’ un altro interessante personaggio uscito dalla penna dello scrittore pugliese: il maresciallo Pietro Fenoglio.
‘Era ora, ha ammesso Carofiglio, con La regola dell’equilibrio rimetto in campo Pietro Guerrieri‘. L’avvocato specializzato nei casi umani più complessi, introverso, amante della musica e dei libri, torna, dunque a calcare le scene investigative della narrativa italiana. Per la gioia di tutti gli appassionati che, visto le vendite delle ultime settimane, sembra non aspettassero altro che tuffarsi in una nuova, intricata indagine.
Trama
Il magistrato Pierluigi Larocca, all’apice della carriera, si ritrova indagato per corruzione, dopo le dichiarazioni di un pentito rese all’antimafia di Bari. Stimato professionista – mai nessun pettegolezzo è stato fatto su di lui – rischia, con queste accuse, di macchiarsi irrimediabilmente la reputazione. Decide perciò di affidarsi all’avvocato Guerrieri, suo vecchio amico nonché compagno di liceo. Quasi suo malgrado, Guerrieri accetta il caso ma con l’andare delle indagini comincia a perdere lucidità: gli sviluppi della situazione stanno smuovendo la macchina dei ricordi, ponendo il malinconico avvocato di fronte a dolorosi dilemmi. A complicare la situazione una detective privata, una donna bella e ambigua che gira con una mazza da baseball.
Recensione
Ben lontano dal classico poliziesco di Una mutevole verità, o dal legal thriller del Testimone inconsapevole, La regola dell’equilibrio – in libreria per Einaudi – non ha i toni tipici del noir e della suspance ma affronta, molto più da vicino, alcune delle abitudini tipicamente italiane – l’autogiustificazione e, di conseguenza, l’autoassoluzione. La trama, infatti, si insinua nei meandri del sistema giudiziario italiano, scovandone contraddizioni e personaggi al limite dell’ambiguità.
E’ un romanzo che racconta l’Italia e il suo ‘smottamento morale‘, ha spiegato l’autore, quella mentalità tipica che cerca di adeguare la realtà a ciò che più ci piace, interpretando ‘i fatti in modo da farli corrispondere ai nostri desideri‘. Ma giustificare i propri errori davanti al mondo e, soprattutto, davanti a sé stessi, significa staccarsi dalla verità, significa perdere inevitabilmente l’equilibrio.
Molto più riflessivo rispetto agli altri romanzi incentrati sulla figura di Guerrieri – l’autore lo ha lasciato da parte per un po’, forse per ripresentarlo ai lettori più maturo – La regola dell’equilibrio potrebbe definirsi come il viaggio intimo di un uomo alle prese con la propria coscienza, che riflette sull’ipocrisia del mondo giudiziario e che si ritrova, suo malgrado, a fare i conti con un sentimento assopito da tempo, l’amore. Un personaggio che, da un punto di vista psicologico, l’autore tratteggia finemente, lasciando che il lettore ne percepisca sensazioni e stati d’animo.
Molto belle, infine, le citazioni che Carofiglio inserisce qua e là, che conferiscono al romanzo momenti di grande profondità intellettuale e narrativa: ‘Chi mente a se stesso e presta ascolto alle proprie menzogne, arriva al punto di non distinguere più la verità, né in se stesso, né intorno a sé‘, tratta dai Fratelli Karamazov di Dostoevskij e quella di Bertold Brecht, che campeggia sul manifesto appeso nello studio di Guerrieri in cui due bambini palestinesi sono seduti per terra tra gli edifici distrutti dalle bombe: ‘Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati‘.
Per gli estimatori di Carofiglio, e non solo, un romanzo senz’altro da leggere.
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