“La mia riforma costava meno“. Tito Boeri torna a parlare di riforma delle pensioni e fa il punto della situazione confrontando la sua proposta e quella del governo. L’occasione è una lunga intervista concessa al Corriere della Sera: con la manovra il debito pensionistico è destinato a salire a quota 44 miliardi, mentre il suo piano di riforme avrebbe garantito un maggior risparmio. Il suo parere nei confronti del lavoro del governo non è del tutto negativo: da un lato riconosce alcuni aspetti positivi, come l’addio alle ricongiunzioni onerose delle diverse gestioni Inps, dall’altro sottolinea i costi che alcune novità porteranno nel futuro, con conseguenze rischiose per la tenuta dei conti statali. La differenza principale è però nel merito: la riforma di Boeri ha un approccio diverso rispetto a quella del governo, di più ampio respiro e con un occhio particolare alla diseguaglianza.
Boeri riconosce degli aspetti positivi nel lavoro dell’esecutivo. L’eliminazione delle ricongiunzioni onerose è “una misura molto importante perché rimuove una stridente iniquità del sistema che da tempo avevamo sottolineato e stimola la crescita perché consente una più efficiente allocazione del lavoro evitando di penalizzare i lavoratori che cambiano lavoro alla ricerca di carriere più corrispondenti alle proprie capacità”, come spiega al Corriere.
CHI È TITO BOERI, L’ECONOMISTA CHE SPAVENTA IL GOVERNO
Viene valutata positiva anche la flessibilità in uscita ma già in questo caso si intravedono dei problemi. “Bene dare libertà di scelta, ma stando attenti a non aumentare il fardello che grava sulle generazioni future“, ricorda il numero uno dell’Inps.
Sul banco degli imputati finisce in particolare l’Ape e le misure più caratteristiche della manovra come gli interventi sulla quattordicesima, sui lavoratori precocI e la sperimentazione dell’Ape Social che, secondo le stime Inps, “fino al 2018 aumentano il debito pensionistico di circa 20 miliardi”. Se poi queste misure venissero confermate dopo il 2018, il debito salirebbe a 44 miliardi: da qui l’apertura a tavoli di lavoro in modo da creare le condizioni perché si possa renderle anche strutturali ma con lo sguardo rivolto al futuro.
L’apertura al confronto rimane. Anche la sua riforma ha dei costi e degli aumenti, aveva fatto notare il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, ma non a livello assoluto. Boeri difende le sue proposte che, ricorda, avrebbero ridotto il debito pensionistico anche perché avrebbero toccato le pensioni in essere, andando a ridurle in molti casi.
Il lavoro all’Inps è ancora lungo e non solo per la riforma del sistema pensionistico: la stessa struttura sta attraversando un momento delicato per il cambiamento imposto da Boeri. Il presidente ha dato il via a una rivoluzione interna che ha toccato posizioni di potere, incontrando non poche resistenze, e, al momento, non ha sentito l’appoggio del governo. La speranza è che arrivi nelle cose concrete come nei fondi per le assunzioni che servono a svecchiare l’intero apparato.
Polemiche e vedute diverse non lo distraggono dal lavoro e, soprattutto, non sembrano allontanarlo dall’esecutivo e da Matteo Renzi che lo ha fortemente voluto a capo dell’Inps. Rimandate al mittente le ipotesi di un addio prematuro. “Voglio portare a termine il mio lavoro. È una sfida complessa, forse ancora più difficile di quanto pensassi, ma non ho mai, ripeto mai, parlato o anche solo minacciato di dimettermi”, conferma.
“Non sono qui perché ho chiesto di fare questo lavoro, ma perché mi è stato chiesto di farlo. Sono onorato di farlo, ma basterebbe che il Presidente del Consiglio mi chiedesse anche solo velatamente di fare un passo indietro per spingermi a farlo subito. E lo farei senza rancore perché mi piace troppo fare quello che facevo prima. Fare ricerca e insegnare è la mia vita”.
LA VERSIONE DI BOERI: PIÙ EQUITÁ PER TUTTI
Conferme e messaggi d’affetto a parte, la visione di Boeri è molto diversa da quella della manovra del governo. La conferma arriva dalle parole dello stesso Boeri. “Il Presidente dell’Inps ha il dovere, prima ancora che il diritto, di segnalare quando certe misure hanno effetti sul debito pensionistico, inteso come l’insieme dei pagamenti, al netto dei contributi versati, delle generazioni di lavoratori e pensionati attuali e future”, dice sempre al Corriere.
Il punto centrale della sua proposta di riforma pensionistica è l’equità: no alle maxi pensioni, sì a una più equa distribuzione delle risorse in modo che oggi i meno fortunati possano uscire dalla spirale della povertà e che le generazioni future abbiano aspettative migliori.
Il piano è articolato in diversi punti. Il primo prevede l’introduzione di un reddito minimo di 500 euro per chi ha più di 55 anni e versa in difficoltà: il versamento dell’assegno è legato alla sottoscrizione di quello che viene definito “un patto di servizio”, cioè l’iscrizione in programmi per la ricerca di lavoro.
Il secondo punto, recepito dalla manovra, è lo stop alle ricongiunzioni onerose per i lavoratori che hanno avuto carriere e lavori diversi e quindi l’iscrizione a diverse casse previdenziali.
Il punto centrale è però l’armonizzazione, ossia la ridistribuzione delle risorse, tagliando le super pensioni per garantire un aumento strutturale delle minime. È quello che Boeri ha definito il “contributo di solidarietà“: addio ai contributivi e tetto massimo per le pensioni, con tagli che riguarderebbero gli assegni da 5mila euro in su con interventi che andrebbero a colpire la differenza tra quello che si percepisce e i contributi reali versati. “Abbiamo calcolato che in rari casi si sarebbe verificato un taglio superiore al 15% della pensione”, ha ricordato ancora al Corriere. L’esempio più noto è quello dei vitalizi dei parlamentari o le maxi pensioni dei dirigenti pubblici: per troppi anni poche persone hanno preso troppo togliendo a molti.
Quarto punto è la flessibilità in uscita, condivisa nel tema con il governo ma con differenze nell’applicazione, con il minimo d’uscita a 63 anni e 7 mesi di età con 20 di contributi per la richiesta di un importo minimo dell’assegno, ridotto tra il 3 e il 10% se non si chiede il ricalcolo con il contributivo.
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