I capigruppo dei partiti delle opposizioni al Senato hanno presentato una mozione per la celebrazione del 25 aprile, il giorno della Liberazione, che ha richiamato le parole usate dalla senatrice a vita Liliana Segre durante la prima seduta dell’aula di Palazzo Madama, quello in cui, tra l’altro, è stato eletto anche il presidente, Ignazio La Russa. In maniera implicita, il testo che si intende approvare è destinato soprattutto all’esponente di Fratelli d’Italia che qualche giorno fa era finito nel mirino della minoranza, e non solo, per alcune frasi sull’attentato di via Rasella.
Nel merito di quelle parole, su cui è intervenuta anche la presidentessa del Consiglio, Giorgia Meloni, la petizione lanciata da Unione popolare per chiedere le dimissioni del presidente del Senato è arrivata, da sabato, a 36mila firme. Non è, però, così semplice che La Russa lasci il suo ruolo di seconda carica dello Stato.
La mozione per celebrare il 25 aprile, ecco come le opposizioni vogliono mettere in scacco La Russa dopo le parole sull’attentato di via Rasella
Per Giorgia Meloni, la prima presidente del Consiglio donna della storia della Repubblica, le frasi del co-fondatore del suo partito, Fratelli d’Italia, e ora presidente del Senato, Ignazio La Russa, sull’attentato di via Rasella sono state “una sgrammaticatura istituzionale” che il numero uno di Palazzo Madama, ha precisato la premier, ha risolto da solo.
Eppure no, perché dopo le polemiche alimentate anche dall’Anpi, l’associazione dei partigiani, contro La Russa, le opposizioni, stavolta unite, hanno deciso di presentare una mozione proprio al Senato per le celebrazioni del 25 aprile, il giorno della Liberazione – che tra l’altro l’ex ministro della Difesa aveva festeggiato anche quando era un membro del quarto governo di Silvio Berlusconi.
Nessun richiamo esplicito al presidente dell’aula, è vero, ma dal testo, che riprende le parole della senatrice a vita Liliana Segre nella prima seduta del Senato – quella, per intenderci, in cui La Russa è stato eletto alla prima chiamata e nonostante Forza Italia abbia disertato il voto -, il riferimento non può che essere al presidente del Senato che aveva parlato di pensionati altoatesini uccisi e non di nazisti, e soprattutto aveva detto che non si trattava dell’azione più gloriosa dei partigiani.
“Adottare le iniziative necessarie affinché le commemorazioni delle date fondative della nostra Storia antifascista si svolgano nel rispetto della verità storica condivisa“, si legge nel testo presentato dai capigruppo a Palazzo Madama del Partito democratico (Francesco Boccia), del MoVimento 5 stelle (ancora per poco Barbara Floridia), del terzo polo (Raffaella Paita), della Autonomie (Julia Unterberger) e dell’alleanza Verdi e Sinistra (Peppe De Cristofaro) affinché venga discusso in settimana. Un rispetto che può “essere terreno fertile per il mantenimento e la costruzione di un’identità collettiva e del senso di appartenenza a una comunità“.
In effetti, la superstite dell’Olocausto, il 13 ottobre nel dare inizio a legislatura, aveva richiamato al rispetto delle fondanti della nostra Repubblica. “Le grandi nazioni – aveva iniziato Segre – dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria. Perché non dovrebbe essere così per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date divisive, anziché con autentico spirito repubblicano, il 25 aprile, festa della liberazione, il 1° maggio, festa del lavoro, il 2 giugno, festa della Repubblica?“. La mozione, così la senatrice voluta da Sergio Mattarella, hanno ricordato che sono le “date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro” siano davvero oggetto di condivisione, di riflessione, di monito e di insegnamento non solo per i giovani, ma per tutti i cittadini, è necessario che le istituzioni in primis si adoperino per la trasmissione della conoscenza della storia, frutto del rigore della ricostruzione storica unitaria e condivisa“.
La raccolta firme per le dimissioni del presidente del Senato è arrivata a 36mila adesioni ma difficilmente ci saranno atti concreti in tal senso
Intanto la battaglia contro La Russa non si è fermata qua. Dal primo aprile, infatti, Unione popolare, il partito di sinistra extraparlamentare guidato dall’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris, ha lanciato una petizione online per chiedere le dimissioni del presidente del Senato dopo le sue dichiarazioni sull’attentato di via Rasella – che, tra l’altro, avevano richiesto anche la segretaria del Pd, Elly Schlein, e il numero uno di Azione e frontman del terzo polo, Carlo Calenda -, che ora è arrivata a 36mila firme.
In queste 36mila persone ci sono personalità del mondo della cultura, dello spettacolo, dell’informazione, dell’associazionismo, che hanno aderito alla campagna “non in nome di un antifascismo di facciata ma avvertendo l’urgenza di ricostruire una verità storica non viziata da revisionismo“, si legge nella nota di Up che ha richiamato anche alle lotte per le “privatizzazioni, l’autoritarismo, l’oscurantismo, l’autonomia differenziata, la guerra“, ovvero, hanno concluso, “prodotti delle politiche neoliberiste e per Up, sostenere la petizione che porti alle dimissioni di La Russa è inscindibile dal portare avanti queste ed altre lotte; questo è il senso che diamo all’antifascismo nel XXI secolo, che si traduce nella difesa e nell’applicazione della Costituzione e nel far tornare in questo paese reali condizioni di democrazia“.
Al di là di questo, però, è davvero difficile credere che l’esponente di Fratelli d’Italia rinunci a essere ancora la seconda carica dello Stato. Innanzitutto perché, come abbiamo visto all’inizio, Meloni così come gli altri membri della maggioranza di governo hanno sempre sostenuto l’operato di La Russa, ma anche perché il presidente del Senato non può essere sfiduciato, specialmente dalla minoranza (men che meno da chi non è neanche seduto tra i banchi del Parlamento).
Il regolamento di Palazzo Madama, che per altro è stato cambiato prima della fine della precedente legislatura e sistemato per rispondere alle esigenze del taglio dei parlamentari, all’articolo 13, che parla della Cessazione dalle cariche del Consiglio di Presidenza, prevede che possano decadere dal loro incarico soltanto i vicepresidenti, questori o segretari che entrano a far parte della squadra dell’esecutivo o che escono dal proprio gruppo parlamentare, e precisa che “le disposizioni di cui al presente comma non si applicano mai al Presidente del Senato“. Un cambiamento in questo senso era stato richiesto in passato, ma non se n’è fatto nulla, e quindi, ecco, difficilmente La Russa abbandonerà lo scranno di Palazzo Madama.