La Dacia Arena, che già giovedì aveva visto i festeggiamenti del terzo scudetto del Napoli, oggi è stata teatro di un’altra sentenza anticipata per la nostra Serie A. Se l’Udinese, infatti, aveva fermato sull’1-1 i campioni d’Italia regalandogli comunque la gioia del titolo dopo 33 anni dall’ultima volta, stavolta, vincendo 2-0, ha sancito la matematica retrocessione della Sampdoria con quattro giornate d’anticipo.
La squadra di Dejan Stankovic, infatti, ha raccolto finora solo 17 punti, tredici in meno del Verona, quartultimo e quindi potenzialmente salvo se le cose dovessero rimanere così. Se anche dovesse vincere tutte le prossime partite, la Sampdoria arriverebbe solo a 29 punti, uno in meno dei gialloblù di Marco Zaffaroni. La sentenza della retrocessione matematica dei blucerchiati arriva a pochi giorni dal ritorno in Serie A dei “cugini” del Genoa, secondi in Serie B, e dopo un campionato in cui, numeri alla mano, non sono riusciti mai ad avere uno scatto d’orgoglio, anche a causa dei vari problemi societari, che hanno portato i tifosi a contestare sempre più spesso il presidente, Massimo Ferrero, ma non la squadra, sempre supportata, anche nell’ultima partita persa contro il Torino a Marassi.
Se avete bisogno di certezze, o meglio di sentenze, questa stagione dovete passare da Udine, o per lo meno dalla Dacia Arena. Se lo stadio dell’Udinese è stato quello in cui il Napoli di Luciano Spalletti, con il pareggio di uno degli autori della cavalcata dei partenopei come Victor Osimhen, ha potuto festeggiare il terzo scudetto della sua storia (e con cinque giornate di anticipo), stavolta la squadra di Andrea Sottil ha spedito direttamente in Serie B, e quattro turni prima della fine del campionato, la Sampdoria di Dejan Stankovic.
L’incubo che i blucerchiati, purtroppo, stavano assaporando dalle prime battute di quest’anno, è diventato realtà già al nono minuto, quando Roberto Pereyra, sfruttando al meglio l’assist di Festy Ebosele, ha spiazzato Nicola Ravaglia. Poi è arrivato anche un altro sigillo sulla partita, quello di Adam Masina che sfrutta l’assist di uno scatenato Sandi Lovric e chiude, già nel primo tempo, la partita. Che non c’era più nulla da fare, però, per la squadra del serbo, arrivato in corsa, ma neanche lui riuscito nell’intento di provare a cambiare le sorti di una società dilaniata dai problemi, specialmente ai vertici, era chiaro da tempo, ma nelle ultime settimane, mentre le dirette concorrenti stavano aumentando i giri del motore, i blucerchiati non sono mai riusciti a reagire.
Oltre alle questioni extra-campo che chiaramente hanno inciso inevitabilmente sul calciomercato e sulla composizione della squadra, i problemi si sono visti nel gioco e nella fase offensiva dei liguri, senza che l’allenatore sia mai riuscito a risolverli. La Sampdoria, al momento, ha dei numeri veramente pessimi: la differenza reti è di -41, la peggiore del torneo, figlia della difesa più battuta della Serie A con 61 reti a carico e soprattutto dell’attacco peggiore con solo 20 gol realizzati.
I liguri hanno avuto una difficoltà tremenda in tutti gli aspetti della gestione della partita essenzialmente e che si è tradotta sul campo in rotazioni continue che comunque non hanno trovato i frutti sperati. Questo dato è evidente soprattutto in attacco, dove certamente Fabio Quagliarella non è quello di un tempo e non hanno vissuto bene questa stagione, ma anche Francesco Caputo, per i primi sei mesi, ci si aspettava avrebbe dato un apporto diverso. Lo stesso discorso è valso per Sam Lammers, che ha preso di fatti il suo posto, ma che ha dimostrato quanti limiti abbia ancora nel vedere la porta e Jesè Rodriguez, una mossa quasi disperata e che non ha dato i suoi frutti.
Insomma, i pochi acuti destinati alla fase offensiva sono stati riservati alle giornate di grazia di Manolo Gabbiadini, un attaccante ancora capace di accendersi con la qualità che ha nei piedi, ma che con il passare degli anni e che, a causa dei tanti infortuni subiti, ha perso continuità, brillantezza e soprattutto velocità nell’allungo. Parlando poi della difesa, le cose non sono andate affatto meglio: anche con un assetto piuttosto abbottonato come il 3-5-2, spesso anche 3-5-1-1, scelto da Stankovic, la squadra non ha mai dato la sensazione di potersi davvero difendere dagli attacchi avversari e soprattutto di avere le forze di controllare la partita, anche per breve fasi.
La decisione di virare sull’allenatore serbo serviva a dare una scossa che andasse oltre la tecnica o la tattica, ma puntasse direttamente sull’esperienza, sulla necessità di dare più delle altre per raggiungere l’obiettivo di restare in Serie A, nonostante ci fosse qualcosa in meno degli altri sotto il profilo del gioco. L’opera, però, non è riuscita, fino allo scontro diretto contro la Cremonese che di fatto ha chiuso i giochi e spento le residue speranze dei liguri di restare nella massima categoria.
Le proteste dei tifosi continueranno, e non contro i giocatori, contro la squadra o contro l’allenatore che anche la scorsa settimana sono stati protetti e sostenuti, in un’immagine che è di fatto il bello del calcio e un po’ anche della vita. L’annus horribilis dei blucerchiati passerà e resterà solo un brutto ricordo, ma, sempre in questo weekend, Genova ha rivisto salire in Serie A anche il Genoa. Per una parte di città che piange, ce n’è un’altra che sorride ed è pronta a rappresentare la Liguria anche l’anno prossimo.
In realtà, quando una squadra così cambia categoria al ribasso, a risentirne siamo un po’ tutti. Perché anche lo spettacolo clamoroso del derby non ci sarà con i suoi colori, un intero stadio ricco di bandiere, di cori, di una sfida che spesso è sana e sana espressione della passione. Dovremo aspettare ancora un po’ per tornare a raccontarvelo, ma con la certezza che tornerà e sarà stupendo. Perché il calcio essenzialmente si nutre di questo e non solo delle crisi societarie o sul campo. Sicuramente non delle lacrime che non siano di gioia.
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