Dmitrij Kolker è morto nel carcere moscovita di Lefortovo due giorni dopo essere stato arrestato con delle accuse che fanno pensare ad una incarcerazione (se non addirittura un omicidio) di tipo politico.
Lo scienziato lavorava per l’Istituto di fisica laser russo e per un’università siberiana; le imputazioni ad origine del provvedimento detentivo deriverebbero da attività di spionaggio per la Cina.
Un’amicizia senza limiti, anche nel campo dei sospetti. Se la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping si scambiano pubblicamente effusioni di rispetto e mutuo sostegno, alcuni eventi mostrano quella che nei fatti è sempre stata una diffidenza e una relazione strumentale tra le due superpotenze.
Il 30 giugno Dmitrij Kolker, fisico e matematico russo esperto nel campo dei laser, è stato arrestato con l’accusa di spionaggio in favore della Cina. Lo studioso avrebbe passato informazioni sui suoi studi ed altre conoscenze tecniche moscovite agli “alleati” cinesi durante alcune conferenze che lo stesso avrebbe tenuto nell’ex sedicente Impero di Mezzo.
Il tutto appare alquanto fumoso: Kolker era malato di cancro al pancreas e si trovava già ad uno stadio terminale della malattia. Era infatti costretto su di un letto d’ospedale, dal quale è stato per l’appunto prelevato con l’accusa di spionaggio dall’FSB, la polizia politica e segreta russa, e trasferito in un penitenziario a Mosca.
La stranezza non risiede solo nell’arresto di un fisico nelle condizioni di Kolker, o nel fatto di essere deceduto neanche due giorni dopo il confino coatto nella capitale, bensì in quanto le conferenze incriminate tenute nella Repubblica Popolare erano state approvate nei contenuti, e lo stesso scienziato seguito nel viaggio, dalla medesima FSB che lo ha poi tratto in carcere.
Insomma il cortocircuito logico sembra palese.
Kolker, 54 anni, è stato un dottore in fisica e matematica detentore di numerosi brevetti scientifici. La sua brillante carriera gli aveva permesso di dirigere un laboratorio di tecnologie ottiche quantistiche all’interno della sede siberiana dell’Istituto di fisica laser dell’Accademia delle Scienze russa nonché di insegnare presso la vicina Università di Novosibirsk.
Poi la malattia, la situazione clinica in peggioramento ed infine il ricovero, il 29 giugno, presso una struttura ospedaliera nella stessa città siberiana dove insegnava. Il giorno seguente l’arresto, il trasferimento su aereo a Mosca e la morte, il 2 luglio, nel penitenziario di Lefortovo.
Per familiari e avvocato si è trattata di una vera e propria meschinità da parte del regime putiniano: Kolker si nutriva tramite flebo, era fortemente smagrito e debilitato, i medici erano convinti non gli sarebbe rimasto molto da vivere.
Nonostante ciò le ragioni di stato hanno avuto la meglio sulla speranza dell’emaciato fisico di poter trascorrere i suoi ultimi istanti con la famiglia. Essi hanno prevalso sulla sua aspirazione ultima e forse anche sulla sua stessa vita, vista la morte, alquanto sospetta al pari dell’arresto, avvenuta neanche 48 ore dopo il trasferimento nella capitale.
Forse il capo del Cremlino dimostra atteggiamenti sempre più paranoidi considerata la non splendida performance offerta sul campo bellico dalle proprie truppe, con le ricadute sulla politica estera e sull’economia della Federazione.
Il tarlo della diffidenza, della congiura, sembra divorare ormai i pensieri del leader annebbiandogli, probabilmente, anche la ormai trofica capacità di rispetto della dignità dell’esistenza umana, anche quando quest’ultima è flebile e impossibilitata a nuocere, come la vita restante a Dmitrij Kolker.
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