Qual è la condizione attuale della donna in Italia nel mondo del lavoro? A questa domanda ha risposto l’indice sintetico Qualità della vita delle donne, giunto alla sua seconda edizione, ed incluso nell’indagine annuale del Sole 24 Ore.
La parità di genere è oggi in assoluto forse uno dei temi più dibattuti in Italia e nel mondo. C’è da dire, però, che a quanto pare in Italia sono stati fatti ancora troppo pochi passi avanti a questo proposito e si evince dall’indice sintetico Qualità della vita delle donne.
La donna nel mondo del lavoro
La parità di genere esiste? Partiamo da questo assunto di base per aprire un discorso che ha al centro la donna e, nello specifico la qualità della sua vita, e attorno al quale orbitano numerose considerazioni. Del resto, siamo nel 2022, ma ancora dobbiamo fare una distinzione tra donne e uomini, soprattutto nel lavoro. Dobbiamo, perché la società lo impone a quanto pare, tanto che le prime meritano una sezione apposita di un indice sintetico chiamato appunto “Qualità della vita delle donne”, incluso nell’indagine annuale del Sole 24 Ore e arrivato quest’anno alla sua seconda edizione (e in quanto tale rinnovato).
Il tema delle differenze uomo-donna appaiono oggi centrali, tanto da meritare un posto di rilievo all’interno del PNRR (Il Piano nazionale di ripresa e resilienza). Un esempio? Il Fondo Impresa Donna istituito circa un anno fa dal Ministero dello Sviluppo economico e dal Ministero dell’economia e finanze per le pari opportunità con il chiaro fine di foraggiare – nel senso letterale del termine – l’imprenditoria femminile, con un fondo di 400 milioni di euro ed anche mediante una serie di azioni atte a diffondere la cultura e la formazione delle donne attraverso una serie di iniziative che comprendono anche scuole ed università. Ma non solo, perché altri dieci milioni di euro sono stati destinati alla promozione della certificazione della parità di genere all’interno delle imprese, una misura recentissima (resa operativa solo pochi giorni fa, quindi con il governo Meloni).
In realtà non finisce neanche qui perché rientrano nel PNRR anche altre iniziative, tra cui la costruzione di nuovi asili nido – a cui sono stati destinati 4,6 miliardi di euro – che semplificherebbero di molto la vita delle donne lavoratrici. L’obiettivo primario è in sostanza quello di rafforzare la rete di servizi intorno alla donna, proprio per potenziare la sua occupazione.
La parità di genere in Italia nel 2022
Il discorso principale è che, nonostante se ne parli tanto, sembra che appunto sul tema della donna fino ad ora ci siano state solo parole e sono i numeri a parlare. Se volessimo interpretare i dati emersi dall’indagine Qualità della vita delle donne, sarebbe praticamente (quasi) solo la Lombardia – e neanche tutta – a collocarsi in una posizione talmente favorevole da rendere minuscolo il gap di genere. Monza e Brianza dominano la classifica, grazie alla loro capacità di avvicinare all’universo maschile anche quello femminile, tanto da rendere la differenza occupazionale quasi tre volte inferiore alla media nazionale. Anche il livello di occupazione femminile in sé e le giornate retribuite hanno dato qui un buon esito.
Come ha commentato Paolo Pilotto, sindaco del capoluogo lombardo, questi risultati sono dovuti “al mix tra un tessuto produttivo fatto di oltre 74mila imprese, che nella selezione del personale non guardano più al genere ma alle competenze, e un sistema di istruzione molto solido”. A questo dobbiamo aggiungere che Monza negli anni ha anche investito sui servizi alla famiglia, arrivando al 42% di copertura dei posti negli asili nido.
Ma nel resto dell’Italia cosa sta accadendo esattamente? Di sicuro cose non bellissime, nel senso che, lista del Sole24Ore alla mano, guardando le prime dieci posizioni notiamo solo una città del Sud (Cagliari, che nell’arco di un solo anno è passata dal quindicesimo al terzo posto), mentre le altre nove sono collocate tutte tra la zona settentrionale del Paese e il centro e questo ci fa riflettere non poco. Dietro Monza e Brianza, infatti, troviamo Treviso (che lo scorso anno era al primo posto), poi appunto il succitato capoluogo sardo, a cui seguono rispettivamente Vicenza, Udine, Prato, Varese, Siena, Aosta e Firenze (l’unica città metropolitana della top 10).
In sostanza, riassumendo, su 107 città, in 40 l’occupazione femminile si attesta sotto la media nazionale (restando al 53,5%). Si evince quindi che il divario tra Sud e Nord è ancora fortissimo, forse anche di più del gap uomo-donna e quindi forse, prima di risanare quest’ultimo, dovremmo pensare a come poter equiparare tutte le Regioni Italiane. Come ha affermato Paola Profeta, prorettrice per Diversità, inclusione e sostenibilità della Bocconi e direttrice dell’Axa Research lab on Gender Equality, infatti: “Occorre investire soprattutto nella riduzione di tutte le disparità territoriali del Paese”. E capiamo bene che questo dovrebbe accadere anche con molta urgenza.
Tra i 12 indicatori presi in esame poi ve ne sono alcuni legati all’istruzione, cioè la percentuale di donne laureate e la competenza numerica misurata nei test Invalsi in terza media. Per quanto riguarda quest’ultimo nello specifico si attestano agli ultimi posti soprattutto le città siciliane, calabresi, ma anche Napoli è abbastanza in fondo (su 107 città è al 102esimo posto attualmente). Qui però c’è una buona notizia (ma solo parziale): altre città campane – cioè Avellino e Benevento – ed anche Caltanissetta rientrano nella top ten delle laureate. Come abbiamo anticipato, questa buona notizia lo è solo in parte, perché in realtà dimostra che molte donne dopo l’università non riescono a trovare lavoro.
Un altro indice di rilievo è il confronto con lo scorso anno, che ci fa capire anche in che direzione stiamo andando. Il trend, nonostante tutto, sembra essere positivo comunque: stanno migliorando diversi indicatori, come la speranza di vita, progredita di due mesi, i tassi di occupazione – quello giovanile 25,2 è passato a 27,1% – anche se di contro due giovani su tre ad oggi sono fuori dal mercato del lavoro. E non solo, perché sono aumentate anche le quote rosa comunali – che dal 34,5% sono arrivate al 33,8% – mentre sul fronte Stem (science, technology, engineering and mathematics) le donne sembrano aver fatto un leggero passo indietro.
Volendo però allargare la lente di ingrandimento a tutta l’Europa, notiamo che la situazione generale non è idilliaca. Ad attestarlo è l’Eige (l’Istituto europeo per l’eguaglianza di genere), che ci dice che in realtà anche i progressi che ci sono stati sono comunque molto lenti ancora: dal 2010 al 2021 la percentuale è aumentata solo di 5 punti. A questo si aggiungono diversi indici negativi, tra cui un peggioramento della partecipazione al mondo del lavoro (ed in questo senso l’Italia è all’ultimo posto), ma anche della salute e dell’accesso ai servizi sanitari.
L’unica nota positiva è l’incremento della partecipazione femminile nelle istituzioni e in economia che, secondo l’Eige, deriva dalle leggi sulle quote rosa varate in alcuni Stati Ue.