Leo Gullotta oggi ha 77 anni, ha una carriera a dir poco brillante alle spalle, ha coronato non molto tempo fa il suo sogno d’amore, sposando quello che è il suo compagno da ormai 43 anni, è un uomo risolto da ogni punto di vista. Probabilmente (anche) questo gli consente di discutere, con estrema lucidità, su temi delicati e privati, come quello della sua omosessualità, che in passato gli ha chiuso delle porte in faccia. Oggi l’attore guarda a quegli episodi come semplici parentesi, eppure questo è un argomento caldissimo dei nostri tempi. Ma non solo, perché ha detto la sua anche sull’attuale governo.
La carriera di Leo Gullotta è stata costellata di enormi successi. Oggi ha 77 anni, nel 2019 ha sposato l’amore della sua vita, con cui faceva coppia fissa già da quasi 40 anni all’epoca e sembra – ed è verosimilmente – molto tranquillo. Da poco – per celebrare i suoi 60 anni di carriera – ha scritto un libro, La serietà del comico, in cui racconta ad Andrea Ciaffaroni il percorso personale e professionale che ha seguito per arrivare dov’è oggi. Di questo e di molto altro l’attore ha parlato in una lunga intervista rilasciata a Repubblica, in cui ha sviscerato anche un tema molto delicato: quello della sua omosessualità, che gli ha chiuso alcune porte lavorative (ingiustamente). Ma non solo, perché ha anche sparato a zero – più o meno esplicitamente – sul governo Meloni.
La vita e la carriera di Leo Gullotta
Un Leo Gullotta consapevole di sé stesso, della sua carriera, del suo successo, ma anche “rassegnato” – non in senso negativo, sia chiaro – a un’idea dell’omosessualità che negli anni si è evoluta, ma che per tempo immemore ha messo da parte tutti coloro che erano “colpevoli” semplicemente di amare persone dello stesso sesso: così è apparso l’attore, ex star – perché di star si può e si deve parlare, nel vero senso della parola – del Bagaglino, con alle spalle collaborazioni con mostri sacri come Giuseppe Tornatore, Nanni Loy, Francesco Pingitore.
Sono lontani i tempi del Salone Margherita, quelli in cui indossava la parrucca e gli abiti della Signora Leonida, che i politici – tra cui anche Berlusconi, lo ha ammesso lui stesso – sgomitavano per vedere dal vivo. Erano altri tempi quelli, altri anni, era un’altra epoca. Era quella l’epoca in cui la vita privata non poteva e non doveva combaciare con quella lavorativa, perché ammettere tutto – ma proprio tutto – di sé poteva essere davvero pericoloso. Erano quelli i tempi in cui ammettere di avere un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità era quasi un crimine, per cui si era destinati a essere cestinati, gettati nel dimenticatoio, come un vecchio paio di scarpe che ha camminato tanto, forse troppo, ma che ormai non serve più.
Ma Leo Gullotta non prova rabbia oggi per quello che gli è successo (di cui parleremo meglio tra poco): oggi ha 77 anni, tutti racchiusi nel libro La serietà del comico (Sagoma), ha finalmente sposato – circa quattro anni fa – il suo compagno di vita, Fabio Grossi, che è al suo fianco da ben 43 anni (quindi, a conti fatti, da quando ne aveva circa 34 ed era nel pieno della sua carriera artistica), è un uomo appagato, tranquillo, equilibrato. Sarà forse la calma di quella che molti chiamano terza età, ma che in realtà in alcuni casi è la prima, perché è l’età della consapevolezza, in cui ci si può prendere il lusso di non correre più, ma di sedersi e osservare i ricordi.
E così proprio oggi che la vita per Leo Gullotta ha assunto una forma diversa, ma non per questo meno affascinante, l’attore ha deciso di raccontarsi, di mettersi anzi a nudo, in una lunga intervista rilasciata a Repubblica, in cui ha sviscerato anche l’importante tema della sessualità.
Il delicato tema dell’omosessualità e la stoccata alla Meloni
Sia chiaro, Leo Gullotta non ha mai deciso di fare l’attore, è stata la recitazione a scegliere lui come suo esponente in un certo senso. Quando era giovanissimo – parliamo di quasi 60 anni fa in pratica, quando poco più che adolescente – a Catania esisteva il C.U.T, il Centro universitario teatrale. Non desiderava recitare, non era quello il suo sogno, eppure lì, tra le mura di quell’edificio di cui aveva varcato la porta solo ed esclusivamente per appagare la sua curiosità, trovò un mondo. Era il ’55 e Gullotta, che all’epoca aveva solo 19 anni, in fila con ragazzi molto più grandi di lui, si ritrovò improvvisamente catapultato sul palco intento a leggere una pagina di Adelchi del Manzoni.
Quello fu per lui il pass per accedere a quell’ambitissima università (fu uno dei dodici ammessi), anzi scuola di teatro. “Per il saggio finale fu scelto un brano di Morti senza tomba di Sartre, avevo conosciuto il piacere dell’applauso, la cosa era finita lì. Nessun fuoco sacro. Ma ricevo una telefonata dal Teatro Stabile di Catania. Sono rimasto dieci anni, si lavorava nove mesi all’anno, intanto andavo a scuola. In me c’era un talento nascosto”: iniziò così tutto, come ha raccontato lo stesso Leo a Repubblica.
Poi tutto cambiò (in meglio): provvidenziale l’incontro con Nanni Loy, che lo vide per caso mentre era in teatro, proprio nel periodo in cui era alla ricerca di un “attore che doveva riuscire a tenere un occhio un po’ storto per Café express”. Da lì, quello che successe lo sanno tutti: Testa o croce, Mi manda Picone, Scugnizzi, tutti successi sanciti da una grande amicizia, che per Gullotta, per sua stessa ammissione esplicita, è più importante del lavoro stesso.
Poi ci pensò Pingitore a rendere la sua carriera straordinaria. Come ha raccontato lui stesso a Repubblica, a proposito del loro incontro: “Fu casuale. Allora il Salone Margherita era stato preso dal gruppo del Bagaglino, una stagione di grandi successi. Mancò uno spettacolo, Pingitore mi chiese se ero disposto a trasferire il mio. Poi è arrivato il varietà televisivo, siamo andati avanti per vent’anni: tutto pensato, scritto, provato. In piena libertà”.
Tutto avveniva appunto nel Salone Margherita, quello che, come abbiamo anticipato, era diventato la meta preferita di tantissimi politici, che fremevano all’idea di essere seduti in prima fila, nonostante fossero consci che in quegli spettacoli così celebri ci fosse sempre spazio per una presa in giro ai loro danni. A questo proposito Leo ha aggiunto: “C’era la fila, chiedevano tutti di partecipare, valeva come una campagna elettorale. Il politico ha la faccia di tolla, pur di portarsi a casa qualcosa va ovunque. Infatti sono venuti tutti, l’intero arco costituzionale. A Torte in faccia si beccavano persino i dolci in faccia. Record di ascolti, grande visibilità”.
Tra questi vi era spesso anche Berlusconi che, a quanto ha dichiarato Gullotta, durante le prove “portava dei cadeau o faceva consegnare i regali” (che a quanto pare però lui non ha mai accettato, per preservare la sua libertà di pensiero).
Arriviamo al punto cruciale della sua intervista rilasciata a Repubblica, quello in cui ha parlato del suo coming out, della sua scelta di ammettere di essere omosessuale, che ha pagato però a caro prezzo. Era il ’95 precisamente: in quel periodo la sessualità era ancora un tabù, erano lontanissimi i tempi della fluidità di genere, della libertà assoluta, degli schemi da rompere (e non da seguire). Tutto iniziò durante la conferenza stampa del film Uomini uomini uomini: un giornalista gli chiese se anche lui fosse omosessuale e la sua risposta non tardò ad arrivare. Per Gullotta quello fu un processo naturale (giustamente) e così tranquillamente rispose solo “Sì, perché?”.
Di certo all’epoca non poteva immaginare quello che sarebbe successo dopo: non si parlava affatto di coming out in quel periodo e così, dopo la sua dichiarazione, trovò pagine intere dedicate alla sua omosessualità, come se fosse una super notizia di cui stare a discutere per ore, giorni, settimane.
C’è da dire che l’attore aveva avuto diverse storie con diverse donne fino a qualche anno prima e forse anche questo all’epoca confuse la stampa, che si ritrovò spiazzata davanti alla sua ammissione (negli anni ’90 si era meno abituati a vedere uomini prima con donne e poi con altri uomini, semplicemente perché ci si nascondeva “meglio” e c’erano meno mezzi per scoprire le cose). Oggi ammette anche, con estrema sincerità: “Fino ai 25 anni ho vissuto la mia vita da eterosessuale, ho avuto le mie storie. Dico sempre: mi piaceva il cioccolato, poi ho scelto la crema”.
Ma all’epoca non c’era molto su cui scherzare. Circa undici anni fa (nel marzo del 2012 per essere precisi), l’attore ammise senza mezzi termini di essere stato escluso da una pellicola proprio per via del suo orientamento sessuale. Proprio per questo motivo, infatti, non gli fu affidato il ruolo di don Pino Puglisi.
Oggi, ripensandoci, commenta così l’accaduto: “Un funzionario Rai di allora, essendo don Pino Puglisi in dirittura di beatificazione, si preoccupò che il Vaticano – a cui interessava solo la qualità – non volesse un omosessuale. La pochezza di pensiero porta a questo. Non ho fatto drammi”.
E, a proposito delle unioni civili che per lui sono semplicemente “un fatto di civiltà”, ricollegandosi alle parole di Tiziano Ferro, che ha esplicitamente affermato che per lui non sono comunque pieni diritti, aggiunge: “Ha ragione. A tutt’oggi con questo governo è offensivo quello che accade dal punto di vista civile e umano. Addirittura sposano la linea di Orban, apprezzando di più la vita non concessa all’omosessualità, con la scusa delle mamme che fanno i figli all’estero, raccontando storie incredibili e negando i diritti a bambini che esistono. Dove sta l’umanità di queste persone? Sono parole spudorate”.
Ovviamente non poteva mancare una domanda su Elly Shlein e su Giorgia Meloni, di cui ha detto: “Aprirà porte e finestre, ora lo deve fare. Appare – ed è – una persona serena, sicura di poter guidare il Pd. Se abbiamo questo governo, è anche colpa della sinistra che gli ha preparato tutto su un piatto d’oro. Un governo che si era concentrato sui rave, non ci saranno cose più importanti in questo paese? Armi di distrazione di massa. Ma poi discorsi imbarazzanti, Dante uomo di destra. Non c’altro da aggiungere”.
Cosa possiamo imparare dalle sue parole? Ad accettare quello che non possiamo cambiare, ma a non restare fermi a guardare quello che, invece, possiamo cambiare eccome. E ci fermiamo qui.