La storia della banda della Uno bianca descrive l’attività di un gruppo di criminali che, dal giugno 1987 al novembre 1994, ha tenuto sotto scacco l’Emilia-Romagna e le Marche.
A lungo gli inquirenti hanno indagato per comprendere chi tirasse le fila del commando armato che era stato capace di tenere sotto scacco l’Italia. Soltanto dopo un settennato, però, hanno scoperto che quei criminali avevano il volto di colleghi. In carcere sono così finiti Roberto e Alberto Savi, entrambi poliziotti, Fabio Savi, fratello dei primi che di mestiere faceva il camionista, e altri agenti di polizia, Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli.
In questo senso, è stata la composizione della banda a renderla un unicum nella la storia del nostro Paese. Difatti, i suoi membri erano tutti (tranne uno) componenti della Polizia di Stato.
Una pagina sanguinaria della cronaca italiana che ricostruiamo proprio perché raccontata questa sera all’interno del programma di Giancarlo De Cataldo, Cronache criminali, in onda questa sera su Rai1 con la produzione di Verve Media Company. Autrici e registe de “il caso della Uno bianca”, sono state Flavia Triggiani e Marina Loi, che hanno trattato – sempre per Cronache Criminali – il caso di Terry Broome e il parricidio commesso da Pietro Maso.
In attesa della puntata, alla quale anche io ho preso parte nella veste di criminologa, ripercorriamo tute le tappe salienti che hanno caratterizzato l’operato della banda.
La storia criminale della banda, che in origine operava con la Fiat regata di uno dei suoi membri, iniziò il 19 giugno 1987 con una rapina al casello autostradale di Pesaro. Proprio per l’utilizzo di quel modello di auto, l’opinione pubblica aveva ribattezzato il gruppo come “la banda della regata fantasma”.
Una rapina che, però, fruttò solamente poche lire. Per questo episodio vennero arrestate quattro persone totalmente estranee ai fatti. Un errore giudiziario che agevolerà l’attività criminosa dei fratelli Savi.
Nell’arco di due mesi, i banditi misero a segno tredici rapine, tutte ai danni dei caselli autostradali. Tranne una, che prese di mira l’ufficio postale di Coriano.
Le dinamiche criminali iniziarono a cambiare nell’ottobre del 1987 quando la banda mise a punto un tentativo di estorsione ai danni dell’autosalone Grossi. Fabio Savi, difatti, non era stato retribuito in ordine ad un’attività prestata proprio per l’attività commerciale. Il 3 ottobre del 1987, quando avrebbe dovuto verificarsi lo scambio denaro, i banditi aprirono il fuoco contro i poliziotti chiamati da Grossi. Venne così colpito mortalmente uno dei poliziotti, Antonio Mosca. Mentre gli altri due poliziotti, tra cui Ada di Campi, rimasero gravemente feriti. Sul letto di morte, Antonio Mosca fa promettere a due colleghi, Baglioni e Costanza, di vendicare il suo omicidio.
Il 20 aprile del 1988 un gruppo di uomini a bordo di una Fiat Uno bianca uccise due militari, Umberto Erriu e Cataldo Stasi, nel parcheggio della Coop a Castel Maggiore.
Il 13 ottobre del 1988 venne messa a segno nella Coop di Bologna una delle azioni più redditizie della banda. Dopo aver ferito quattro guardie giurate, i criminali prelevarono ben cento milioni di vecchie lire. Per quell’attacco vennero arrestati alcuni pregiudicati catanesi dietro testimonianza di una loro basista, la prostituta Annamaria Fontana. Le condanne furono pesantissime dai 30 anni all’ergastolo. La magistratura infilzò così il secondo errore giudiziario.
Un episodio drammatico si consumò poi il 26 giugno del 1989. A seguito dell’ennesima rapina ad una Coop, un testimone, Adolfino Alessandri, venne freddato perché aveva inveito contro i rapinatori.
Il 27 dicembre 1990 due episodi sanguinari si verificarono nell’occasione di una rapina ad un distributore di benzina. Persero la vita Luigi Pasqui, che aveva cercato di dare l’allarme durante la rapina, e Paride Perini, colpevole di aver visto cambiare l’auto da parte dei criminali.
La strage del Pilastro è stato uno tra gli episodi più sanguinari commessi dalla banda. Era il 4 gennaio 1991 quando una pattuglia dei carabinieri stava transitando nel quartiere pilastro di Bologna. L’auto venne investita da una crivella di colpi capaci di ferire mortalmente il carabiniere alla guida, Otello Stefanini. Il mezzo finì contro quattro cassonetti consentendo così ai criminali di sparare addosso agli altri militari sopravvissuti, Mauro Mitilini e Andrea Moneta. I killer del Pilastro erano a bordo di una Fiat Uno bianca. La stessa auto utilizzata in molti dei crimini messi a segno in quei mesi nel bolognese.
Il 2 maggio del 1991 Roberto e Fabio Savi assaltarono un’armeria in via Volturno a Bologna, lasciandosi alle spalle il cadavere di Licia Ansaloni, proprietaria dell’attività commerciale, è quello di Pietro Capolungo, un carabiniere in pensione all’epoca impiegato nell’armeria. Il bottino prelevato dai fratelli Savi era composto da due pistole Beretta calibro 9.
Gli ultimi anni di vita della banda si caratterizzarono per un ingente numero di furti presso istituti bancari. L’ultima rapina fu quella del 21 ottobre 1994 a Bologna nella quale perse la vita Ubaldo Paci, direttore della filiale.
La svolta nelle indagini si verificò grazie all’ispettore Luciano Baglioni e all’assistente capo Pietro Costanza. Questi ultimi, dopo aver fatto parte di un pool costituito dal giovane magistrato Paci, studiarono autonomamente il modus operandi della banda. Così il 3 novembre 1994, nel corso di un appostamento davanti al Credito Romagnolo di Santa Giustina, intercettarono un uomo che si rivelò essere Fabio Savi. Riuscendo così a vendicare anche l’amico e collega Antonio Mosca.
I fratelli Savi vennero arrestati in rapida successione. Il primo fu Roberto Savi la sera del 21 novembre del 1994 mentre era in servizio presso la questura di Bologna. Tre giorni dopo, invece, toccò a suo fratello Fabio che si trovava a 22 km dal confine con l’Austria. Alberto Savi, invece, venne arrestato insieme a Pietro Gugliotta il 26 di novembre. Infine, il 29 novembre venne arrestati Marino Occhipinti e Luca Vallicelli.
I processi ai criminali della banda si conclusero il 6 marzo del 1996. I fratelli Savi vennero condannati a tre ergastoli ciascuno, mentre a Marino Occhipinti venne comminato un ergastolo. Per Pietro Gugliotta, invece, gli anni di reclusione attribuiti furono diciotto. Infine, Luca Vallicelli, componente minore della banda, patteggiò tre anni e otto mesi di reclusione.
A descrivere la distruttività delle azioni della Uno Bianca ci hanno pensato Marina Loi e Flavia Triggiani, autrici e registe della puntata.
“Sui fatti della Banda della Uno Bianca abbiamo intervistato tante persone, avendo io e Marina Loi scritto e diretto anche il documentario “La Vera Storia della Uno Bianca” andato in onda sempre sulle reti Rai, e ci siamo rese conto che vi sono molti punti di vista differenti. Ogni testimonianza porta verso piste diverse. È una storia così intricata, contorta, sanguinosa, che rappresenta veramente un unicum nel nostro paese e che ha raggelato il sangue a tanti cittadini che si sono sentiti meno protetti dalle forze dell’ordine”. Marina Loi, aggiunge: “E sono proprio le forze dell’ordine forse le prime vittime “morali” dell’operato di questa banda. Per pochi che hanno sbagliato, i tanti che vestono la divisa con onore hanno vissuto un periodo in cui la fiducia delle persone nei loro confronti era fortemente scemata. Sono proprio i poliziotti ad aver sofferto maggiormente per questa scoperta. E nella puntata di Cronache Criminali raccontiamo proprio questo punto di vista”.
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