Morire a diciassette anni è un’immedicabile violenza alla vita. Morire come Jessica Filanti lo è ancor di più. Era il 14 marzo 1996 quando, appena diciassettenne, Jessica veniva uccisa a coltellate dal suo ex fidanzato. Un numero indefinito di colpi fino a quando l’arma non si è spezzata. Definitivamente. Strappando per sempre Jessica alla vita ed agli affetti.
Non conoscevo la storia di Jessica, ma in occasione di un convegno svoltosi all’Università degli Studi di Reggio Emilia lo scorso novembre, dove ero relatrice per discutere ancora una volta di violenza contro le donne, ho incontrato sua madre, Giuliana Reggio. Una donna fortissima che in una giornata come questa, quella dell’anniversario del femminicidio di sua figlia, mi ha rilasciato queste parole per ricordarla.
“Jessica la penso con Amore oggi, non è una novità l’ho pensata ieri e ogni giorno passato. La penso in silenzio per non far soffrire chi mi è vicino. Il suo nome è inciso nel mio cuore, che ho separato dalla mente perché altrimenti il dolore immenso non mi fa vivere. Tutto ciò che mi rimane sono i ricordi e le foto. Come se fosse sempre il primo giorno, non si accetta mai tutto ciò. Si sopravvive. È un dolore che nessuno vede e nessuno sente, quello è solo il mio dolore e lo porterò dentro fino alla fine dei miei giorni. Sono ventisette anni e si sono fermati il 14 marzo del 96”.
Un dolore atroce. Indescrivibile a parole e difficilmente contemplabile. Giuliana è una donna molto coraggiosa. E non ha mai smesso di battersi per ricordare sua figlia.
Jessica è una delle prime donne ad essere finita sulle prime pagine dei giornali perché vittima della furia omicida di un compagno o ex compagno. Il suo è stato uno dei primi femminicidi capaci di scuotere il Paese. Perché Jessica ha trovato la morte nella normalità, in un giorno come tanti altri, dopo una mattinata trascorsa tra i banchi di scuola. In quella giornata di quasi primavera, però, non è più tornata a casa.
Luca Ferrari, che Jessica aveva lasciato cinque mesi prima, non aveva accettato né la fine della loro relazione né che lei avesse intrapreso una nuova storia. E allora aveva deciso di ucciderla. Lo ha fatto proprio nel giorno del suo ventesimo compleanno. Condannando sé stesso a ripercorrere quel terribile omicidio ogni giorno della sua vita. Così, ha atteso la ragazza che dichiarava di amare uscisse da scuola e si allontanasse con il suo nuovo fidanzato.
Via Buozzi, Reggio Emilia. Una strada deserta così come deserte erano le possibilità che Jessica sopravvivesse. Ferrari si è scaraventato su di lei mentre cercava di fuggire, cadendo e rialzandosi da terra. Senza speranza. Ormai ventisette anni fa, è definitivamente crollata a terra quando Andrea, il suo nuovo ragazzo, anche lui ferito a sangue, ha tentato di rianimarla. Inutilmente. Così come inutili sono stati i tentativi di aiuto delle persone che nel frattempo erano accorse.
Prima di andarsene, Luca aveva ha abbandonato l’arma del delitto proprio accanto al corpo esanime dell’ex fidanzata. Forse, un segno di resa.
Poi, completamente imbrattato di sangue, aveva attirato l’attenzione di una parrucchiera poco distante dal luogo del delitto. E davanti all’offerta d’aiuto di quest’ultima, Ferrari aveva risposto: “L’ho uccisa. Venga, se non ci crede, le faccio vedere”. Dopodiché, una volta tornato indietro, era salito sull’auto dei Carabinieri, che erano stati chiamati dalle persone accorse sul luogo.
L’ex fidanzatino di Jessica era stato condannato in primo grado all’ergastolo. Ma in appello la pena gli era stata ridotta a ventitré anni di reclusione. Oggi ha pagato il suo debito, almeno con la legge, ha un nuovo lavoro e prova a ricostruirsi una vita. Con una famiglia. Rivendicando un altro diritto difficile da conquistare, almeno nel cuore di chi resta. Quello all’oblio.
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