Stefano Mastropietro, 44 anni, papà di Pamela Mastropietro, la ragazza di 18 anni stuprata, uccisa e fatta a pezzi il 30 gennaio del 2018, è stato trovato morto domenica 14 maggio in circostanze ancora tutte da chiarire nella sua abitazione in zona Romanina, nella Capitale.
Tuttavia, l’assenza di segni evidenti di violenza sul corpo, lasciano ragionevolmente desumere che la morte sia imputabile solamente a cause naturali. Intanto, secondo quanto rilevato da un primo esame obiettivo sul cadavere dell’uomo, il decesso risalirebbe a qualche giorno prima del ritrovamento. La scoperta è stata fatta dagli agenti di polizia, allertati dai familiari di Stefano che non riuscivano a mettersi in contatto con lui da qualche giorno.
“Almeno tu ora puoi riabbracciarla. Vi mando un grandissimo abbraccio angeli”. Così, ha scritto su Facebook Alessandra Verni, mamma di Pamela, dopo aver appreso la notizia della morte di Stefano Mastropietro.
Sono passati più di cinque anni dalla morte di Pamela, ripercorriamo insieme la terribile storia di una giovane ragazza strappata alla vita in maniera vile e crudele nel fiore degli anni.
Pamela Mastropietro è nata il 28 febbraio 1999 a Roma. Cresciuta in una famiglia con una situazione economica difficile, ha trascorso gran parte della sua giovinezza in un istituto di assistenza per minori. Già in tenera età, però, a soli quattordici anni, ha iniziato a manifestare problemi di droga e di alcolismo. Per questo ha abbandonato gli studi alle scuole medie e nel 2015 è entrata in un centro di recupero per curare i suoi problemi di dipendenza. Era il 2017, poi, quando la giovane aveva deciso di trasferirsi a Macerata per cercare di iniziare una nuova vita lontana dagli ambienti tossici in cui aveva vissuto fino ad allora. E proprio a Macerata non solo aveva trovato lavoro come baby-sitter. Ma progettava anche di frequentare un corso di formazione professionale per diventare estetista.
Era il 29 gennaio 2018 quando tutti i giornali e tutte le televisioni avevano dato la notizia che una ragazza di soli diciotto anni, Pamela Mastropietro, era scappata dalla comunità per tossicodipendenti che la ospitava a Corridonia, in provincia di Macerata. Quel giorno la giovane era uscita dal centro solamente con due valigie: una di colore rosso e l’altra di colore blu. Nonostante i vari appelli pubblici di sua madre, Alessandra Verni, e di suo padre Stefano Mastropietro, di lei non si ebbe più nessuna notizia. Sino al 31 gennaio 2018, quando verrà ritrovata cadavere. Proprio all’interno dei trolley con i quali si era allontanata da Corridonia.
La presenza di un cadavere, accertato poi in seguito essere quello di Pamela, era stata segnalata da un passante che aveva notato due valigie, una rossa e una blu, appunto, tra Casette Verdini e Pollenza. Due località poco distanti da Macerata. Il momento fu dei peggiori. Da uno dei due trolley, infatti, l’uomo aveva visto spuntare un arto. Sarà quindi il test del Dna a confermare che, quei resti, appartenevano purtroppo a Pamela.
Tutta la provincia di Macerata era caduta improvvisamente nel terrore e nella paura. E consequenzialmente era partita la caccia a mostro. Ad incastrare Innocent Oseghale, 29 anni, ci avrebbero pensato di lì a poco le telecamere di video sorveglianza di una farmacia. Quest’ultimo era infatti stato ritratto mentre seguiva proprio la giovane Mastropietro. Pamela era stata uccisa la sera prima.
Pamela e Innocent si erano incontrati la mattina del 30 gennaio 2018, nei dintorni dei giardini di via Diaz a Macerata, dove Pamela si era fatta accompagnare dal tassista con il quale aveva trascorso la notte per acquistare una dose. Dimostrando come, purtroppo, dal circolo vizioso della droga non sarebbe mai uscita.
Secondo quanto ricostruito dall’accusa, Pamela è morta per un’overdose da eroina dopo essere stata tratta con l’inganno nell’abitazione di Oseghale. Quindi, ricevuta la droga che voleva, sarebbe stata poi violentata dal nigeriano e colpita con una coltellata. Una coltellata rivelatesi letale.
L’esame autoptico sui resti di Pamela Mastropietro
Innocent Oseghale ha cercato di farla franca. Lo ha fatto facendo a pezzi il cadavere di Pamela. Così, per cancellare le tracce, avrebbe dato seguito ad un’attività di ripulitura con la candeggina. Ma chi opera sulla scena del crimine sa che non tutte le impronte possono essere cancellate. Ed infatti, ad incastrare incastrare il nigeriano, oltre al suo DNA rinvenuto sotto le unghie di Pamela, c’era stata anche l’impronta del suo piede rinvenuta sul pavimento dell’abitazione grazie all’utilizzo del luminol. Tracce che non lasceranno scampo all’uomo.
Innocent Oseghale ha mostrato sin da subito di avere una personalità complessa e problematica, connotata peraltro da evidenti tratti sociopatici. Non soltanto. Le sue caratteristiche personologiche hanno fatto ritenere agli psichiatri che lo hanno periziato che l’uomo vivesse in una condizione contraddistinta dalla totale mancanza di empatia e dal disprezzo per le regole sociali. Dimostrando così di possedere anche un controllo limitato sui suoi impulsi aggressivi, che lo portavano a comportamenti violenti e pericolosi. Inoltre, durante il processo, l’uomo è risultato essere affetto da una schizofrenia paranoide e da un disturbo paranoide di personalità. In verità, da quelle che poi furono anche le informazioni raccolte, Innocent Oseghale aveva alle spalle una storia di abusi e gravi traumi subiti nel corso della sua infanzia. Oltreché aver avuto tutta una serie di precedenti penali e conti in sospeso con la giustizia. Tutti legati al mondo del traffico di stupefacenti e della prostituzione. Nonostante il reinserimento nella società, però, non era stato capace di uscire dal circolo vizioso della droga e anche dal giro della prostituzione.
Il processo e la condanna
Nel corso del processo, partito il 13 febbraio 2019, dopo un anno di indagini, Innocent Oseghale è stato condannato all’ergastolo e a diciotto mesi di isolamento. Una condanna severa, ma che non restituirà gli anni perduti ad una giovane ragazza di diciotto anni.
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