Si chiama Sanam Shirvani, ha 36 anni e dieci anni fa, nel 2013 precisamente è partita alla volta di Torino per studiar architettura e si è ritrovata poi a coltivare la sua passione per il calcio diventando arbitro, che oggi è il suo lavoro a tutti gli effetti. Ah, ci siamo dimenticati di dire la sua provenienza: Sanam viene da Rasht, nel nord dell’Iran, lo stesso Paese che vieta alle donne anche solo di accedere allo stadio come spettatrici, figuriamoci di poter giocare in una squadra femminile. La sua è una storia di riscatto, di rivincita, di rinascita e merita di essere raccontata.
Sanam Shirvani è una donna di 36 anni, è arbitro professionista. Negli ultimi dieci anni in sostanza è riuscita a farsi largo in un mondo popolato da uomini. Già questo è emblematico, soprattutto alla luce del bassissimo numero di sue colleghe donne che vi sono in Italia, ma lo diventa ancora di più se consideriamo la sua provenienza: Sanam è infatti iraniana. Nel suo Paese d’origine aveva dovuto rinunciare a realizzare il suo sogno di diventare calciatrice ma, arrivata in Italia, è riuscita comunque a tramutare la sua passione in lavoro.
La storia di Sanam Shirvani
In Iran se sei donna “non devi parlare, non devi mostrarti intelligente, non devi mostrare di avere cultura”. Non puoi evolverti come persona, non puoi realizzarti sul lavoro, non puoi avere delle ambizioni Non puoi cantare, ballare, seguire le partite allo stadio. Se sei donna in Iran non puoi neanche sognare, perché sai già che qualsiasi cosa sognerai non potrai farla.
Lo sapeva bene Sanam Shirvani, oggi 36enne, quando nel 2013 è partita da Rasht, nel nord del Paese, per raggiungere Torino. In Iran ha lasciato il suo sogno di diventare calciatrice, nato nel salotto di casa sua quando era solo una bambina e coltivato negli anni giocando nel giardino insieme ai fratelli maggiori. Poteva diventare un’attaccante di successo Sanam, se solo fosse nata in un altro Paese. Sì, perché nel suo era solo un’utopia poco realistica (anzi, per nulla). Non era fattibile, non era nemmeno pensabile. In Iran le donne non posso neanche guardare le partite allo stadio, figuriamoci se possono giocare. Anzi, lì non esistono nemmeno squadre femminili, quindi anche le donne più talentuose non possono esprimersi in alcun modo.
Così Sanam decise di riporre in un cassetto – adeguatamente chiuso a chiave con tripla mandata – il suo sogno. Almeno fino al 2013, quando in Italia, precisamente a Torino, ha avuto la sua rivincita. Del resto, per quanto noi che lo abitiamo lo reputiamo arretrato sotto alcuni punti di vista, il Belpaese – come gran parte dell’Occidente – offre delle possibilità che alcune donne provenienti da altri luoghi nel mondo non possono neanche immaginare di avere.
E così Sanam, armata solo di passione, tanta buona volontà e tanta determinazione, arrivata a Torino grazie a una borsa di studio in architettura al Politecnico, decide di dare una svolta alla sua vita. Sia chiaro: all’epoca era già “troppo vecchia per diventare calciatrice” – a conti fatti, se oggi ha 36 anni, all’epoca ne aveva già 26 e chi fa sport sa che quella è un’età già avanzata – eppure qui è riuscita a trovare la sua strada, che forse non era esattamente quella che avrebbe sperato di percorrere, ma era altrettanto luminosa, forse parallela.
Arrivata qui, infatti, nonostante dovesse “mantenere una media di voti alta, altrimenti addio borsa di studio”, cosa che le rendeva praticamente impossibile giocare da professionista, venne “a sapere di un corso per arbitri”, si iscrisse, partecipò alle lezioni e divenne direttrice di gara. Così è iniziata così la sua rivalsa.
“Quando sono arrivata in Italia ho scoperto quanto può essere grande il mondo. Che noi donne possiamo fare tutto, anche se cercano di chiuderci in una stanza”, così ha commentato la stessa Sanam il suo arrivo, come riporta La Stampa.
Eppure venire dall’Iran, essere donna, inserirsi in un contesto in cui gli uomini la fanno da padrone, può essere davvero difficile e infatti lo è stato anche per lei. Arrivata nel Belpaese, infatti, non conosceva l’italiano e questo le impediva di capire tutto quello che le dicevano. Inoltre l’ambiente in cui lavorava non sempre era amichevole. Questo l’ha indotta a pensare più volte di lasciare tutto, ma la sua forza, la sua passione, la sua determinazione sono state più grandi di tutto. “Volevo mollare. Ma poi mi sono detta: ora che puoi farlo, vuoi veramente mollare perché qualcuno si comporta male?. (…) Vedrete ora come si comportano in campo”: queste le sue parole.
Oggi Sanam guarda dall’Italia, anzi dall’erba dei campi di calcio che ogni giorno calpesta, quello che sta accadendo in Iran dopo la morte di Mahsa, vede le rivolte, osserva il comportamento delle donne che non vogliono più restare a guardare e ne gioisce, perché sa che questo potrebbe essere l’inizio di una nuova era, fatta di meno repressioni e più libertà. Per sua stessa ammissione, oggi il popolo iraniano sta riuscendo in un’impresa in cui la sua generazione non è riuscita e sta mostrando un coraggio che nessuno prima aveva avuto. E in effetti è così, perché in tutto il Paese le rivolte non si placano, nonostante il regime sembri non essere intenzionato a indietreggiare neanche di un passo.
E così, mentre gran parte dei cittadini cercano di combattere per i loro diritti, nel frattempo nel centro di Teheran un militare – appartenente molto probabilmente al regime degli Ayatollah, ovvero il “Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche” (IRGC) – ha visto una donna camminare sola, l’ha raggiunge, l’ha picchiata (ne abbiamo parlato approfonditamente qui), una coppia formata da un ragazzo e una ragazza rispettivamente di 22 e 21 anni è stata condannata a 10 anni di detenzione per aver pubblicato un video in cui ballava per strada, vicino alla Torre Azadi, con l’accusa di “promozione della corruzione e della prostituzione, atti contro la sicurezza nazionale e propaganda contro l’establishment” e potremmo continuare ancora così all’infinito. Ma questo non smuove di un millimetro la voglia degli abitanti di essere liberi ed è questo ciò su cui vale la pena soffermarsi.
Chissà che un giorno le voci di tutti saranno ascoltate, che uomini e donne saranno messi sullo stesso piano (magari in tutto il mondo), che non ci saranno più soprusi, mai. E chissà che magari un giorno Sanam potrà “perfino arbitrare una partita di calcio in Iran”.
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