Sanam Shirvani è arrivata in Italia 10 anni fa e parlando del suo Paese, l’Iran, ha detto parole molto dure riguardo le condizioni delle donne.
Qui la 36enne è laureata al Politecnico di Torino, vive da sola ed è arbitro di calcio della Federazione, tutte libertà che le sono concesse sono perché si trova nel nostro Paese, infatti alla domanda dei giornalisti se le mancasse la sua Terra ha detto con amarezza che sono 5 anni che non fa ritorno ma non ha intenzione di farlo se le condizioni della donna non cambieranno. “Qui sono libera”.
Sanam è una ragazza di 36 anni iraniana che vive nella periferia nord di Torino con i suoi gatti. È laureata al Politecnico e ha tante passioni, fra cui il calcio, che coltiva facendo l’arbitro da diversi anni.
Accanto a questo hobby ha un lavoro che la gratifica, è impiegata infatti in uno studio di progettazione nel centro della città e giorno prende l’autobus per arrivarci. Sotto la sciarpa e il cappello che indossa per il gran freddo che ancora attanaglia il nord Italia, Sanan ha dei lunghi capelli scuri e degli occhi profondi che tradiscono le sue emozioni tristi nel pensiero di come vivono le donne nel suo paese d’origine e di come lei invece sia davvero libera in Italia.
Proprio il dettaglio dei capelli sciolti e in bella vista sarebbe stato motivo di persecuzione se in questo momento si fosse trovata in Iran, questo infatti ci riporta alla storia di Mahsa Amini, uccisa perché dei capelli si intravedevano dal velo messo male. Questa vicenda ha scatenato proteste in tutto il Paese e non solo ma Sanam è molto disponibile a parlarne e ad aprirsi con i giornalisti che in occasione della Festa Internazionale dei Diritti della Donna, la avvicinano per chiederle di rispondere ad alcune domande.
Sanam è molto sorridente ma si rabbuia al pensiero delle condizioni delle ragazze in Iran, definito da lei stessa un luogo non adatto per le donne.
“Ai miei tempi le cose erano anche peggio, adesso ad esempio si può andare a scuola con vestiti colorati, quando io ero piccola bisognava indossare solo vestiti neri. tuttavia, se qualcuni ha pensato che negli anni le cose siano migliorate non è così”.
La ragazza racconta che qui in Italia nessuno la guarda male e nessuno è interessato a cosa fa, invece in Iran le donne hanno costantemente gli occhi puntati addosso e vivono in uno stato d’ansia che non le abbandona mai. Un Paese ostile in cui serve l’autorizzazione del padre o del marito per fare qualsiasi cosa altrimenti si viene picchiate.
Quello che fin da piccola Sanam voleva era giocare a pallone, passione trasmessa dai fratelli, che vedevano il calcio tramite una parabola clandestina montata dalla sua famiglia nella casa in Iran.
“è vietato dalla legge in iran, guardare canali televisivi stranieri ma grazie a questo escamotage, il calcio italiano è molto popolare nel mio paese, ma realizzare il mio sogno era impensabile”.
È molto emozionata quando ricorda la sua prima e ultima partita vista allo stadio di Rasht, dove il padre l’ha portata all’età di 7 anni. Poi, raggiunti i 9 anni ha partecipato a una cerimonia con cui le bambine entrano nell’età adulta e sono obbligate da quel momento a portare il velo e il vestito tradizionale dentro e fuori dalla scuola, completamente nero.
Affiorano i dolore e il rimpianto nella giovane ragazza mentre ricorda come a scuola spesso le autorità facevano controlli improvvisi per perquisire zaini e diari:
“se trovavano uno specchio erano guai, peggio ancora se sul diario c’era un nome o il numero di telefono di un maschio. facevano mille domande e mettevano in mezzo anche le famiglie, era terribile. molte mie amiche lanciavano i diari dalla finestra e li raccogleivano più tardi, se intuivano che stava arrivando un controllo. io non l’ho mai avuto un diario segreto, avevo troppa paura”.
Poi Sanam arriva durante il suo racconto, all’adolescenza e alla maggiore età, periodi in cui ha vissuto sempre in una sorta di bolla, senza la possibilità di innamorarsi e frequentare chi voleva, godendosi a pieno quei 18 anni che purtroppo non torneranno più.
“ora sto capendo cosa ho perso ma chi mi restituirà la spensieratezza di quegli anni?”.
A 26 anni Sanam è partita da Rasht, città nel nord dell’Iran dove viveva con la sua famiglia. Arriva a Torino senza sapere nulla della lingua italiana, comincia un percorso di studi difficile che poi la porta a laurearsi.
Da 4 anni è arbitro della FIGC e dirige molte gare delle categorie giovanili e adulte. La prima cosa che ha fatto in Italia è stata proprio andare allo stadio.
Parlando delle difficoltà iniziali, Sanam ricorda che dopo un anno voleva mollare tutto e tornare ma è felice di non averlo fatto perché in Italia ha capito cosa significa libertà. Sono 5 anni che non torna a casa ma sente regolarmente i genitori, tuttavia sebbene la mancanza sia forte, afferma con amarezza che ora l’Iran non è un posto adatto a una donna e c’è molta strada da fare e disparità da appianare.
In una ricorrenza importante come quella dell’8 marzo abbiamo voluto proporre la storia di Sanam Shirvani per aprire gli occhi sulle condizioni delle donne in queste realtà che sembrano davvero molto lontane dalla nostra.
Paesi in cui le assicurazioni pagano la metà se la vittima è una donna, luoghi in cui una donna non può diventare presidente, in cui deve chiedere il permesso per ogni cosa, in cui viene considerata meno di un essere umano e trattata senza rispetto.
Come ha detto la 36enne c’è ancora moltissima strada da fare ma oltre ad aprire gli occhi con contributi come questo non possiamo fare molto, anche perché in Paesi come l’Iran la morte di una donna non è un evento clamoroso come qui da noi, questo è terribile e di certo va contro tutto ciò per cui ogni anno l’8 marzo migliaia di donne manifestano nelle piazze italiane.
Accanto a loro ci sono membri di associazioni antiviolenza come Anna Agosta, presidente del Centro Antiviolenza Thamaia, già sul palco dell’Ariston durante il Festival di Sanremo.
“la violenza contro le donne è un fenomeno costante e i femminicidi sono in aumento. la sensibilizzazione e la prevenzione devono partire dalla scuola materna, bisogna fermare questa escalation”.
Dalla gelosia alla mania di controllo, sono diversi i moventi che portano un uomo, che sia partner o familiare, a maltrattare una donna.
Per contrastare questa piaga, i centri antiviolenza lavorano h24 e sono disponibili insieme a tanti volontari per tendere una mano a chi ne ha bisogno. Storie come quella di Sanam sono molto diffuse ma seppure non siamo in grado di agire alla radice del problema in Paesi stranieri, possiamo farlo in Italia impegnandoci davvero a sensibilizzare sull’argomento.
Si fa forte l’appello a non trascurare i segnali di allarme perché la violenza si manifesta dapprima con piccoli gesti per poi sfociare in possesso, controllo e violenza psicologica e fisica di ogni tipo.
Lo scopo è isolare la vittima da tutti i suoi affetti, per questo motivo chiedere aiuto è difficile ma una volta che si riesce a compiere questo passo, i centri antiviolenza forniranno supporto da ogni lato, anche per le azioni giudiziarie del caso.
Insieme a Sanam e Anna noi di Nanopress vogliamo unirci al grido che oggi riecheggia ovunque: Basta alla violenza maschile sulle donne.
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