Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, si scaglia contro la ministra dell’Interno Lamorgese accusata di incapacità (se non di occulta volontà lesiva) nel garantire la sicurezza dello svolgimento dei pubblici comizi del partito di destra.
Nonostante pochi episodi condotti da sparuti e pacifici contestatori, la probabile futura leader del Centrodestra sembrerebbe voler mobilitare gli elettori presentando alcuni rami delle istituzioni come impegnati a favorire disordini che gettino discredito sulla formazione leader nei sondaggi, una sorta di strategia della tensione all’inverso.
La diatriba tra Meloni e Lamorgese ha inizio domenica sera, quando la leader FdI di ritorno da un comizio a Caserta, segnala la presenza, per l’ennesima volta a detta della capa politica, di contestatori in piazza durante il comizio.
Pochi ragazzi non-violenti, ribadisce subito la leader: tuttavia, per quest’ultima, la continua presenza di gruppi avversi negli spazi dove si riuniscono i sostenitori del gruppo nazionalista di destra potrebbe facilmente portare a incidenti, scontri e disordini.
Da ciò l’attacco a Lamorgese, a cui Meloni si sarebbe più volte rivolta in cerca di una sponda per risolvere il problema, ottenendo invece il semplice ripetersi della condizione ad ogni nuovo comizio.
Ecco perché la deputata romana sarebbe giunta a ventilare l’ipotesi di una precisa volontà del Viminale affinché si crei quella cornice di nervosismo che può indurre a manifestazioni violente attraverso le quali screditare un partito dipinto come fascistoide e dai sostenitori riottosi.
Insomma un richiamo all’inazione del Ministero che sembrerebbe denunciare una strategia della tensione di segno politico opposto a quanto avvenne negli anni ’70: stavolta il pericolo non sarebbe quello “rosso”, dei comunisti, ma quello “nero”, dei fascisti.
Una domanda sorge spontanea: perché un attacco così forte verso un’istituzione che con ogni probabilità diventerà nelle disponibilità della leader romana entro poche settimane?
Un nervosismo che appare esagerato visto che i contestatori a cui si allude sono di solito gruppi poco numerosi, di giovani per lo più, che gridano slogan chiaramente satireggianti verso i proclami meloniani.
In questo sfogo potrebbe celarsi la preoccupazione per un risultato elettorale al Sud (guarda caso dove si sarebbero svolti i comizi più irrequieti) non così netto e favorevole. Se infatti l’affermazione nel Centro-Nord è pressoché totale, al Sud la situazione è più fluida ed indefinita (come è tradizione nell’area, con intenzioni di voto molto volatili).
Questo anche perché se al Nord Fratelli d’Italia ha inghiottito molto del consenso leghista, che ne perde su tutta la Penisola, al Sud i voti trasferitisi da Salvini sono assai meno e soprattutto in queste aree interviene un certo radicamento del Movimento 5 Stelle, dato in risalita fino agli ultimi sondaggi pubblicabili, soprattutto appunto nel Mezzogiorno.
In definitiva per Meloni è importate incidere nella campagna elettorale nel Meridione per accaparrarsi quei voti e seggi attraverso cui ottenere una larga e solida vittoria sui partiti avversari come su quelli alleati, per poter così imprimere la sua leadership al Paese in modo saldo.
Per questo probabilmente non può permettersi, in dei territori tanto elettoralmente delicati, dei contestatori che ne mettano in dubbio la linea o mostrino le incongruenze della sua figura.
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