Roberto Mancini, attuale commissario tecnico della Nazionale azzurra di calcio, ha rotto il silenzio dopo la morte del suo capo delegazione e grande amico, Gianluca Vialli. L’ex attaccante della Sampdoria e della Lazio, in un’intervista diffusa dalla Figc, ha ricordato il suo ex compagno di squadra definendolo un fratello: “Sono stato a Londra a salutarlo, speravo in un miracolo”, ha detto.
Questa sera, alle 21:20 su Rai Due, ha spiegato ancora il ct dell’Italia campione d’Europa, verrà trasmesso per la prima volta il documentario “La bella stagione” che racconta lo storico scudetto vinto dai blucerchiati in cui i protagonisti sono appunto gli ex gemelli del gol, Vialli e Mancini. Realizzato, ha precisato “per far vedere quanto è importante l’amicizia tra le persone che lavorano nello stesso gruppo e dove si può arrivare quando c’è questa coesione“.
Ci sono dei legami che vanno oltre tutto: lo spazio, il tempo, i cambiamenti, la vita, e anche (e soprattutto) la morte. Quello tra Gianluca Vialli, ex attaccante della Sampdoria e della Juventus, nonché ex capo delegazione della Nazionale azzurra di calcio scomparso ieri a Londra all’età di 58 anni dopo aver convissuto per cinque anni con un tumore al pancreas, e Roberto Mancini ne è una dimostrazione concreta.
E in ritardo di un giorno – ma c’è da capirlo -, l’attuale commissario tecnico dell’Italia ha voluto affidare alla Figc, in un’intervista, il suo ricordo del suo gemello del gol, che per lui, in realtà, era molto di più, “un fratellino, come amavo chiamarlo“, ha detto perché i due si erano incontrati a 16 anni e da loro non si erano più lasciati.
“Non sono stato benissimo perché è una grande perdita per me, per la sua famiglia prima di tutto, e per tutto il calcio italiano. È un momento abbastanza difficile ma bisogna andare avanti“, ha iniziato Mancini prima di dire che il 29 dicembre è stato nella capitale britannica per salutarlo e che sperava “che accadesse un miracolo, sinceramente“. Che, purtroppo, non è avvenuto.
Insieme, quel giorno, ha ricordato, hanno parlato e scherzato, e Vialli “era sempre di buon umore, come al solito e questo un po’ ti risolleva“, una cosa che al ct ha fatto piacere, ha specificato. Insieme, d’altronde, hanno vissuto quasi sempre, e il loro legame, appunto, era stretto, lo stesso che “possono avere due fratelli, due persone che a un certo punto della vita si sono separate calcisticamente, ma quando si è amici, lo si è per sempre. Luca per me era questo, il nostro rapporto è sempre stato di grande rispetto, affetto, amore, amicizia“, ha proseguito il tecnico azzurro.
Ed era difficile non provare questi sentimenti considerato come ha descritto il suo amico Luca, ovvero come una persona gioiosa e sempre allegra: “Pochissime volte l’ho visto arrabbiato e credo che vada ricordato così, molto vivo in tutti i sensi e a lui farebbe piacere fosse ricordato come era, oltre al fatto di essere stato un grande calciatore, un professionista, con un carisma straordinario. Un ragazzo allegro, giovane a cui piaceva la vita“.
Mancini ha poi spiegato anche perché ha scelto Vialli per la spedizione degli Europei e non solo, perché lui trasmetteva il valore della maglia azzurra ai giovani, e questo insegnamento dovrà rimanere anche dopo, perché “Luca è stato molto bravo, ha fatto capire ai ragazzi dove si poteva arrivare“. “È stata una persona di grande valore per noi e quando parlava ai ragazzi gli piaceva, e ai ragazzi piaceva ascoltarlo. Erano momenti molto belli e sono stati molto importanti“, ha aggiunto l’ex attaccante blucerchiato.
Se l’abbraccio a Wembley, l’11 luglio del 2021, rimarrà una delle pagine più belle della storia del nostro calcio tra Mancini e Vialli, tanti altri sono arrivati nel corso della loro carriera fantastica, soprattutto insieme, e che verranno ripescati dall’album dei ricordi questa sera alle 21:20 su Rai Due nel documentario “La bella stagione” (in prima visione assoluta”, che ripercorre il cammino della Sampdoria dello scudetto quello in cui loro sono stati i veri gemelli del gol.
Ci sarà da piangere, ha detto il commissario tecnico, perché anche loro lo hanno fatto in precedenza, perché nel film non si racconta solo come i blucerchiati sono riusciti a diventare campioni d’Italia per la prima volta, ma anche perché si fa vedere “quanto è importante l’amicizia tra le persone che lavorano nello stesso gruppo e dove si può arrivare quando c’è questa coesione“, ha concluso.
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