Lance Armstrong ancora al centro delle cronache per un comportamento non così ragguardevole e per l’ennesimo sospetto di truffa sportiva. Partiamo da un presupposto: quel che è successo è solo frutto di una condizione fisica ottimale e non di aiuti esterni, ma quando si parla del texano ogni dubbio è lecito. Cosa ha combinato stavolta? Ha partecipato a una corsa amatoriale in salita (a piedi), la Woodside Ramble, e ha dominato coprendo i 35 km in 3.00’36”, due minuti meglio del secondo classificato, il californiano Roger Montes. E così è stato pesantemente criticato e quasi insultato dagli altri partecipanti. Lui ha invece subito commentato su Twitter: “Non ricordo l’ultima volta in cui mi sono divertito tanto, soffrendo per tre ore”.
Lance Armstrong non merita la riduzione della squalifica perché non ha fatto niente, o comunque non ha fatto abbastanza per guadagnarsela. Così ha affermato non un tifoso qualsiasi, deluso dall’inganno decennale del texano, quanto David Howman, che poi è il direttore generale della Wada (l’agenzia mondiale antidoping), in un’intervista rilasciata alla Associated Press e subito rimbalzata su tutti gli organi di stampa principali lo scorso fine marzo. Howman aveva poi aggiunto che Armstrong ha avuto diverse occasioni per collaborare, ma non aveva offerto alcuna informazione degna di nota che possa aiutare il ciclismo. Armstrong aveva incontrato pochi prima Travis Tygart, ossia il numero uno dell’Usada (Agenzia americana antidoping), in Colorado per poter provare a ritornare alle corse.
Era così crollato ogni possibile progetto di Lance di poter ricevere un piccolo sconto sulla squalifica a vita che gli era stata commissionata per quella che si può verosimilmente considerare come la più grande opera di falsificazione della storia dello sport, una truffa che è durata più di dieci anni, che ha avuto risvolti morali vomitevoli e che ha anche causato perdite multimilionarie in termini di premi vinti, sponsor coinvolti e personaggi più o meno attendibili che hanno preso parte alla storia.
Fortunatamente non tornerà mai più alle corse e ne siamo grati perché Lance Armstrong ha inferto la coltellata finale al già moribondo paziente chiamato ciclismo, già martoriato da continui scandali e brutte storie che nell’ultimo periodo l’hanno ridotto a uno zombie, uno sport amatissimo che ha avuto un’emorragia devastante di appassionati e sponsor. Cosa ha combinato Armstrong? Per chi ancora non lo sapesse, ha vinto sette Tour de France dopo il ritorno dal cancro che l’aveva quasi ucciso, salvo poi ammettere dopo anni e anni di negazione che tutti i suoi successi erano stati dovuti a un doping sistematico.
Quel che era ancora più rivoltante era il suo atteggiamento, che peraltro l’aveva sempre reso ostile alle organizzazioni – soprattutto quelle francesi – che lo vedeva paladino di uno sport pulito, rinnegando fino all’inverosimile ogni qualsiasi aiutino. Con la motivazione che farmaci del genere sarebbero stati pericolosissimi per un paziente guarito dal tumore. E invece. Ad ogni modo ora Lance è lontano dal ciclismo professionistico e lo sarà per sempre, magra consolazione per un personaggio che dovrebbe ritirarsi per sempre a vita da eremita, senza più microfoni a registrare alcuna sua dichiarazione.
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