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Sport

L’Arabia Saudita vuole rinunciare ai Mondiali del 2030, dicono dalla Spagna

Secondo quanto riportato da Marca, autorevole quotidiano spagnolo che si occupa di sport, l’Arabia Saudita dovrebbe annunciare a breve alla candidatura ai Mondiali del 2030. A pesare, dicono ancora dalla Spagna, che ha riportato le parole del ministro degli Esteri saudita, Faisal bin Farhan Al Saud, dette a Grecia ed Egitto, sarebbe il fatto che la stessa Spagna, il Portogallo e il Marocco sono molto più avanti nel progetto per l’organizzazione della coppa del mondo che si terrà fra sette anni, e loro probabilmente non hanno i mezzi per contrastarli.

Mohammad bin Salman Al Sa’ud, il principe ereditario dell’Arabia Saudita e primo ministro – Nanopress.it

La decisione su chi debba effettivamente organizzarli da parte della Fifa, con il poker composto da Argentina, Uruguay, Cile e Paraguay che, invece, non ha nessuna intenzione, al momento, di tirarsi indietro, arriverà solo a settembre del 2024, ma già il fatto che dalla corsa potrebbe essersi sfilata l’Arabia Saudita, appunto, ai nostri occhi, è una buona notizia.

Come successo in Qatar, che ha avuto l’onere e l’onore di ospitare l’edizione della coppa del mondo del 2022, e in un periodo dell’anno in cui solitamente abbiamo occhi solo per i campionati e poco ci importa delle Nazionali, anche per questo altro Stato del Golfo persico, i Mondiali del 2030 potrebbero essere (o sarebbero stati, qualora la notizia trapelata dalla Spagna venisse confermata) un’occasione per ripulirsi la faccia, e forse la coscienza, attraverso lo sport, con il fenomeno già più volte richiamato dello sportwashing.

Dopo tutto, con una Saudi Pro League, ovvero il campionato del Paese di Mohammad bin Salman Al Sa’ud, nominato primo ministro dal padre re Salman a settembre del 2022, che sta cercando di acquistare lustro nel consesso internazionale del mondo del pallone attraverso l’arrivo di calciatori del calibro di Cristiano Ronaldo, il primo a essere sbarcato in Arabia Saudita, Karim Benzema e Ngolo Kanté – ma pare che persino Marcelo Brozovic, dall’Inter, possa andare a guadagnare una vagonata di soldi all’Al-Nassr (ovvero la stessa squadra del fenomeno portoghese), anziché esprimersi in una realtà come Barcellona, che pure lo sta corteggiando per il futuro oltre Milano ma non potendo permettersi di mettere sul piatto le stesse cifre dei sauditi -, di ciccia ce ne è davvero poca, e quindi perché rischiare ora e non provarci, invece, un po’ più avanti quando le cose saranno diverse e si potrebbe addirittura spuntarla sugli altri candidati?

Cristiano Ronaldo con la maglia dell’Al Nassr – Nanopress.it

Magari quando si sarà un po’ più avanti nelle gerarchie. D’altronde, dal 58esimo posto nella classifica di 21 Group, una delle agenzie sportive più quotate, in sei mesi si sono scalate appena quattro posizioni, e di strada ce n’è da fare davvero troppa, come ha detto anche, pochi giorni fa, lo stesso ex Juventus e Manchester United: “Passo dopo passo, penso che questo campionato sarà tra i primi cinque al mondo, ma ha bisogno di tempo, giocatori e infrastrutture. Credo che questo Paese abbia un potenziale straordinario, ha persone straordinarie e il campionato sarà eccellente“.

E se così non fosse? Come già successo in passato con la Major League Soccer (il campionato del Nord America, per intenderci), la Cina e in parte anche per la Russia, gli unici soggetti che si riescono ad attrarre con contratti astronomici e fuori dalla portata di qualsiasi club europeo – che comunque deve tenere conto di un fair play finanziario imposto dalla Uefa – sono solo giocatori sulla via del tramonto, o poco ci manca.

Non è un caso che uno come Luka Modric, Pallone d’oro nel 2018, più e più volte vincitore della Champions League con il suo Real Madrid, ma capace di grandi cose anche con la maglia della Croazia – per ultimo, la Nazionale di cui è capitano è arrivata seconda in Nations League, e ai Mondiali in Qatar si è spinta fino alle semifinali, perse contro l’Argentina, che poi ha trionfato – abbia deciso di rimanere in Spagna, e non è un caso neanche che Lionel Messi abbia preferito andarsene negli Stati Uniti anziché riproporre l’eterna lotta con il suo rivale di sempre nello Stato del Golfo persico.

Certo, gli arabi, e in particolare i sauditi, i giocatori li attraggono anche rimanendo nel nostro caro vecchio continente. Con l’acquisto del Newcastle a fine del 2021 da parte del fondo sovrano Pif, amministrato sempre dal principe ereditario che, per altro, secondo l’Onu è anche il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, il parco di atleti che stanno alle dipendenze dell’Arabia Saudita sono parecchi.

Persino Sandro Tonali, milanista da sempre e sbarcato nella sua squadra del cuore dal Brescia tre anni fa, si è fatto abbindolare dai soldi del club inglese. L’arrivo del centrocampista della Nazionale italiana, e dell’Under 21 è praticamente cosa fatta: al Milan dovrebbero andare 80 milioni di euro compresi di bonus, lui ne guadagnerebbe (all’anno) un decimo – che è praticamente quasi il triplo rispetto a quanto percepisce ora dalla società rossonera.

Sandro Tonali, centrocampista del Milan (ancora per poco) – Nanopress.it

A dir la verità, però, l’approdo in Premier League di Tonali non è dovuto solo al contratto milionario che sono riusciti a scucire dal suo entourage. Da quando sono arrivati i sauditi, infatti, i Magpies non solo non sono retrocessi in Championship come sembrava inevitabile a metà campionato scorso, ma quest’anno sono anche riusciti a tornare nella coppa dalle grandi orecchie, in cui potrebbero recitare un ruolo da protagonisti, e con loro anche l’ormai ex milanista – che in effetti anche la sua squadra del cuore l’avrebbe potuta giocare.

E quindi, il problema è piuttosto italiano, oltre che di morale, chiaramente. I club inglesi già di per sé hanno una possibilità di spesa di molto superiore rispetto ai nostri della Serie A, e questo a causa dei diritti televisivi, che in Premier League, appunto, pagano almeno il doppio rispetto a quelli del nostro campionato. Se a questi, ovviamente, si aggiungono iniezioni praticamente illimitate di denaro, i Milan, le Inter, ma anche le Juventus non possono che alzare le mani e lasciar fare, vendendo però a peso d’oro i talenti di casa nostra.

Ma la domanda, ora, è un’altra: a che pro spendere e spandere – anche con Messi che magari non è andato a “svernare” in Arabia Saudita, ma con il governo del Paese arabo ha un contratto di sponsorizzazione in vista proprio dei Mondiali del 2030 – se alla coppa del mondo della Fifa ci si vuole rinunciare? Forse il progetto è un po’ più grande e si vuole avere la certezza di spuntarla, magari organizzando il torneo quattro anni dopo la tabella di marcia iniziale, appunto? O forse basta portare alla propria corte giocatori che farebbero la differenza ovunque per far dimenticare le bombe sganciate in Yemen, i diritti delle minoranze (tra cui le donne) continuamente calpestati?

Dopo tutto, al di là di qualsiasi Mondiale si possa avere il diritto e il privilegio di dover mettere su, l’obiettivo di insabbiare tutto sarebbe comunque portato a casa, e con successo, senza mettere in piedi stadi fatiscenti e smantellabili non appena tutto finisce, senza far morire lavoratori migranti sottopagati, senza dover pagare figuranti che vadano a vedere partite che interessano solo dall’altra parte del mondo, quella che ha ancora un’egemonia nel calcio, e nonostante i soldi.

Mohammad bin Salman Al Sa’ud ed Emmanuel Macron, presidente della Repubblica francese – Nanopress.it

Per lo stesso anno, poi, Ryad sta gareggiando con Roma e Busan per l’organizzazione dell’Expo. E bin Salman può anche contare sull’appoggio del presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron. Nonostante l’armistizio firmato con la nostra premier, Giorgia Meloni, solo lunedì e in occasione dell’atterraggio della leader di Fratelli d’Italia a Parigi proprio per sponsorizzare la Capitale all’assemblea generale del Bureau International des Expositions, il numero uno dei transalpini preferisce comunque sostenere la candidatura dell’Arabia Saudita, che così potrebbe anche spuntarla su una città che non è stata fatta in un giorno, e che tra le più belle del mondo. In nome del denaro, chiaro, e nonostante più volte dal governo transalpino abbiano detto di voler controllare cosa si faceva in Italia sul fronte dei diritti.

Mariacristina Ponti

Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.

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