Said Mechaout, il 27enne che si è costituito per l’assassinio di Stefano Leo, davanti agli inquirenti racconta una verità atroce: alla base del delitto ci sarebbero solo rabbia e invidia. Said Mechaout era depresso e arrabbiato e voleva uccidere un giovane italiano dall’aria felice per mettere in atto una sorta di vendetta contro il destino. Said infatti soffriva per lo sfascio della sua esistenza: due rapporti andati a male, un figlio piccolo con il quale non riusciva ad avere rapporti e la vita da barbone sulle strade di Torino.
La vittima predestinata della rabbia di Said doveva essere un italiano di giovane età: “Ho colpito un bianco, basandomi sul fatto ovvio che giovane e italiano avrebbe fatto scalpore. Mi bastava che fosse italiano, uno giovane, più o meno della mia età, che conoscono tutti quelli con cui va a scuola, si preoccupano tutti i genitori e così via. Non avrebbe fatto altrettanto scalpore. L’ho guardato ed ero sicuro che fosse italiano”.
Said, marocchino di nascita e italiano per adozione, ha dunque comprato un set di coltelli da cucina in un discount, ha tenuto il più grosso e ha gettato via tutti gli altri. Poi si è seduto su una panchina lungo i Murazzi, la zona degli argini del Po a Torino. Ed ha atteso.
Durante l’attesa ha anche litigato con un tizio che passava di lì col cane e che faceva delle foto e c’è mancato poco che lo ammazzasse. Ma non era la vittima giusta, non era abbastanza “felice” e poi c’erano dei testimoni.
La vittima giusta era Stefano Leo, un 33enne dalla faccia allegra. Stefano passeggiava lungo i Murazzi quel sabato mattina del 23 febbraio. Aveva le cuffie nelle orecchie e percorreva la strada che ogni giorno lo portava al lavoro. Stefano era commesso in un negozio d’abbigliamento del centro. Dopo la laurea in Giurisprudenza si era preso un periodo di svago durante il quale era andato a visitare Giappone, Cina e Australia. Quel sabato mattina Stefano non lavorava e aveva deciso di fare una passeggiata lungo i Murazzi.
“Volevo ammazzare un ragazzo come me, togliergli tutte le promesse che aveva, dei figli, toglierlo ai suoi amici e parenti”. Questa è la confessione agghiacciante di Said.
Ecco la dinamica dell’omicidio, raccontata da Said Mechaout: “Sono sceso dal tram in piazza Vittorio. Sono sceso ai Murazzi e dalla scala sono arrivato alla passeggiata. Mi sono seduto su una panchina. Ho fumato un paio di sigarette”. Perché la scelta di quel posto? “Perché si può scappare via subito. E poi ci andavo spesso la domenica. Durante l’attesa ha avuto un alterco con un ragazzo a spasso col cane che scattava foto. Non l’ha ammazzato perché in quel momento c’erano altri testimoni: “Non era un’azione comoda. Volevo uccidere e andarmene ma in quel momento c’era gente”. E poi Said cercava studenti, cercava “una persona la cui morte avesse una buona risonanza. Non un vecchio di cui nessuno parla”. Poi Said ha visto Stefano Leo, 33enne dall’aspetto sereno e molto giovanile: “Mi è passato davanti. Sapevo che non si accorgeva se mi alzavo. Così mi alzo e piglio con la mano sinistra il coltello dalla borsa. Lo colpisco mentre lo sorpasso”. L’assassino e la vittima hanno risalito insieme le scale verso la strada. Stefano in agonia, l’assassino soddisfatto: “Ho visto che cercava di respirare. Si è accasciato dopo aver fatto le scale, cercando di prendere aria. Si è inginocchiato e poi è caduto a terra”.
Poi Said ha preso il tram 16 in via Bava ed è tornato al dormitorio dei barboni. Lì vicino ha nascosto l’arma del delitto in una cabina elettrica.
I genitori di Stefano non si danno pace e cercano ancora di capire il motivo della tragedia che li ha colpiti.
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